Nel caso M e altri c. Italia e Bulgaria, la C.E.D.U. condanna l’Italia per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione perché le autorità italiane avrebbero dovuto espletare indagini effettive sulle sevizie e le molte violenze subite da una giovane rom di nazionalità bulgara

Strasburgo, 19 agosto 2012 – Con sentenza del 31 luglio 2012 la C.E.D.U. ha deciso sul caso M. e altri c. Italia e Bulgaria (ricorso n. 40020/03), dichiarando la violazione dell’articolo 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) perché le autorità italiane non hanno condotto indagini adeguate sulle sevizie subite da una delle ricorrenti, all’epoca dei fatti minore.

Con tale pronuncia, che si occupa di un matrimonio rom dove la giovane che avrebbe dovuto sposarsi, proveniente dalla Bulgaria, fu sequestrata in Italia e seviziata a lungo dai suoi aguzzini, la C.E.D.U. ha rilevato che le autorità italiane non hanno condotto indagini adeguate e approfondite. In particolare non hanno provveduto ad accertare quanto denunciato, non hanno sottoposto ad accertamenti medici la vittima e, anzi, ad un certo punto hanno sottoposto ad indagini quest’ultima e i suoi genitori, per poi archiviare nel giro di un giorno il procedimento penale.

La C.E.D.U. non ha invece valutato che vi sia stata violazione dell’articolo 4 della Convenzione (divieto di riduzione in schiavitù) e dell’articolo 14 della Convenzione (divieto di discriminazione).

Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione, la C.E.D.U. non ha riconosciuto alcun risarcimento danni, ciò perché i ricorrenti non hanno avanzato le loro richieste al momento opportuno.

La CEDU esamina in Grande Camera un trasferimento dal Belgio verso la Grecia di un richiedente asilo, operato secondo il “Regolamento di Dublino II”

Strasburgo, 6 settembre 2010 – Il 1° settembre 2010 la CEDU ha tenuto un’udienza di Grande Camera per il caso M.S.S. c. Belgio e Grecia (ricorso n. 30696/09).

Questo caso riguarda la vicenda di un cittadino afgano che all’inizio del 2008 lascia Kabul per entrare nel territorio europeo, giungendo in Grecia dopo aver attraversato l’Iran e la Turchia.

Il 10 febbraio 2009, dopo aver transitato per la Francia, il ricorrente arriva in Belgio dove presenta una domanda di asilo. Tuttavia le autorità belghe chiedono alla Grecia di esaminare la richiesta nel rispetto del “regolamento di Dublino II” (si tratta del Regolamento n. 343/2003 del consiglio europeo del 18 febbraio 2003). Il ricorrente si oppone, motivando che in Grecia avrebbe rischiato di essere ristretto in condizioni deplorevoli. Inoltre il ricorrente fa presente che la procedura per l’esame delle domande di asilo in Grecia è deficitaria e che per tale motivo temeva di essere respinto verso l’Afganistan dalla Grecia, senza che venissero esaminate le ragioni per le quali egli era fuggito dal suo Paese. Il ricorrente affermava infatti di essere sfuggito ad un tentato omicidio perpetrato dai Talebani in rappresaglia delle sue attività di interprete per l’aviazione militare di stanza a Kabul.

Nonostante ciò, l’ufficio stranieri rinvia il ricorrente in Grecia il 15 giugno 2009, ritenendo che il Belgio non fosse competente per esaminare la domanda di asilo ai sensi del “Regolamento di Dublino II” e che non potevano sorgere dubbi sulla regolarità del procedimento di esame della domanda di asilo da parte delle autorità greche e sul rispetto del diritto comunitario e della Convenzione di Ginevra relativa allo status di rifugiato.

Al suo arrivo ad Atene, il ricorrente viene ristretto in un locale presso l’aeroporto, locale sovraffollato e sporco. Viene quindi rimesso in libertà il 18 giugno 2009 e da allora il ricorrente è costretto a vivere per strada senza alcuna assistenza. Da allora è in attesa del primo colloquio con le autorità greche competenti in materia di asilo.

Il ricorrente sostiene che rimandandolo in Grecia, il Belgio l’ha esposto al rischio di maltrattamenti, inumani e degradanti di cui è stato effettivamente vittima. Il ricorrente si lamenta inoltre di essere stato rimandato in Grecia con il rischio di essere rispedito in Afganistan senza che la sua domanda di asilo venga esaminata. Il ricorrente sostiene inoltre di non aver avuto la possibilità di ricorrere in modo effettivo contro il provvedimento di espulsione emesso nei suoi confronti dalle autorità belghe e di non aver avuto alcuna garanzia concreta che la procedura di richiesta di asilo segua il suo corso in Grecia, ciò a causa delle inefficienze del sistema greco.

Il ricorrente ha eccepito la violazione degli articoli 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) e 13 (diritto ad un ricorso effettivo) della Convenzione.

Il CPT del Consiglio d’Europa pubblica il rapporto sulla Repubblica Ceca : la castrazione chirurgica ritenuta un trattamento degradante

Strasburgo, 22 febbraio 2009 – Il 5 febbraio 2009, il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Euroa (CPT) ha pubblicato il rapporto sulla visita ad hoc effettuata nella Repubblica ceca nel marzo-aprile 2008 nonchè la risposta fornita dal governo ceco. I due documenti sono stati pubblicati su richiesta delle autorità ceche.

Uno dei principali obiettivi della visita è stato quello di esaminare la pratica della castrazione chirurgica effettuta sulle persone condannate per reati sessuali. La delegazione del CPT ha avuto contatto con nove condannati per reati sessuali che avevano già subito la castrazione chirurgica nonchè con altri cinque in attesa di essere sottoposti a tale intervento. Inoltre, sono stati esaminati 41 dossier appartenenti a persone che hanno subito questo intervento tra il 1998 e il 2008. Sono stati consultati medici e alti funzionari. Il CPT ha constatato che la castrazione chirurgica è stata praticata sia su persone che avevano commesso reati senza violenza, contrassegnati in sostanza da pulsioni esibizionistiche, che su persone violente.

Nel suo rapporto il CPT solleva diverse obiezioni sulla castrazione chirurgica come sistema di trattamento dei delinquenti colpevoli di reati sessuali. In primo luogo, si tratta di un intervento i cui effetti fisici sono irreversibili con conseguenze dirette o indirette sulla salute mentale. Inoltre, non esiste alcuna garanzia che il risultato ricercato, ossia la diminuzione del livello di testosterone, perduri nel tempo. Inoltre, tenuto conto del contesto in cui viene proposto l’intervento, sono stati sollevati dubbi sul consenso dato dagli interessati, ritenuto non sufficientemente libero e informato. Il CPT ha anche segnalato alle autorità ceche che esistono terapie alternative efficaci per il trattamento di delinquenti che abbiano commesso reati sessuali.

Le autorità ceche hanno affermato che la castrazione chirurgica è stata praticata con il consenso libero e informato dei pazienti. Le autorità ceche ritengono anche che le ragioni del CPT siano insufficienti e infondate e pertanto non sufficientemente convincenti per abbandonare tale pratica.