Un libro sulla ragionevole durata del processo e rimedio effettivo

Strasburgo, 9 maggio 2014 – A chi volesse avere un quadro completo in materia di ragionevole durata del processo, consiglio il recente lavoro di Francesco De Santis, dal titolo “Ragionevole durata del processo e rimedio effettivo”, edito da Jovene nel 2013.

Il lavoro ripercorre l’evoluzione giurisprudenziale della C.E.D.U. in materia e fotografa con chiarezza e precisione la situazione esistente in Italia a dodici anni dall’introduzione della legge “Pinto” e a un anno dall’entrata in vigore della sua riforma, avvenuta questa nel 2012.

Il libro si articola in quattro capitoli (qui l’indice del libro). Il primo è dedicato all’analisi storica degli antecedenti della legge “Pinto” e della sua riforma avvenuta nel 2012, il secondo è invece dedicato ai profili sostanziali del novellato rimedio “Pinto”, vale a dire l’an ed il quantum dell’equa riparazione e si sofferma sull’interpretazione della locuzione “termine ragionevole” alla luce dell’articolo 6 § 1 della Convenzione. Il terzo capitolo analizza le novità apportate dalla recente riforma al procedimento interno, oggi articolato in una fase monitoria ed in una eventuale fase camerale. Infine, l’ultimo capitolo si concentra nella valutazione della recente riforma. Il libro è pertanto una guida affidabile ed aggiornata per chi fosse interessato alla materia.

Francesco De Santis di Nicola è ricercatore confermato di diritto processuale civile nell’Università degli Studi di Napoli Federico II e dal 1° marzo 2011 è giurista-assistente presso la C.E.D.U.

La Corte Costituzionale censura le modifiche alla legge “Pinto”, perché rende ineffettivo il rimedio interno previsto per la riparazione alla violazione del diritto alla ragionevole durata della procedura, garantito dall’articolo 6 della Convenzione

la-sala-della-corte-costituzionale11Strasburgo, 8 maggio 2014 – Con la recente sentenza n. 30 del 24 febbraio 2014, depositata il 25 febbraio 2014, la Corte Costituzionale si è pronunciata nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134, sostitutivo dell’art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89, promosso dalla Corte d’appello di Bari, prima sezione civile, nel procedimento vertente tra D’Aversa Concettina e il Ministero della giustizia, con ordinanza del 18 marzo 2013, iscritta al n. 151 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2013.

La ricorrente del giudizio principale, lavoratrice dipendente di un imprenditore individuale, nel 1993 aveva agito in giudizio nei confronti del datore di lavoro, per ottenere il pagamento di alcune differenze retributive. Interrottosi il giudizio a causa del fallimento del convenuto, in data 27 marzo 1997, la ricorrente aveva chiesto di essere ammessa al passivo fallimentare, ottenendo l’ammissione del credito per un importo pari a 6.878,47 euro. Di tale somma, la ricorrente aveva ricevuto dei pagamenti parziali (nel 2002 e nel 2010) per un totale di 6.541,32 euro.

Ancora creditrice del residuo, con ricorso depositato il 19 dicembre 2012, aveva adito la Corte d’Appello di Bari, chiedendo l’indennizzo del danno non patrimoniale da eccessiva durata della procedura concorsuale (quantificato in 8.000 euro), oltre accessori e spese legali, sebbene detta procedura, come da attestazione della cancelleria del tribunale fallimentare del 14 febbraio 2013, fosse ancora pendente e non fosse definitiva l’attribuzione della minor somma rispetto a quella ammessa al passivo fallimentare.

Ad avviso del giudice a quo, l’art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile) – come sostituito dall’art. 55, comma 1, lettera d), del d.l. n. 83 del 2012 – prevedendo nel testo attualmente in vigore che «La domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva», precluderebbe la proposizione della domanda di equa riparazione durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata.

La Corte costituzionale, pur dichiarando inammissibile l’eccezione d’incostituzionalità proposta, ha censurato le ultime modifiche apportate alla legge “Pinto” e oggetto d’esame.

I Giudici delle leggi hanno infatti ricordato che la Convenzione accorda allo Stato contraente ampia discrezionalità nella scelta del tipo di rimedio interno tra i molteplici ipotizzabili, ma nel caso in cui opti per quello risarcitorio, detta discrezionalità incontra il limite dell’effettività, che deriva dalla natura obbligatoria dell’art. 13 della Convenzione (si veda Cocchiarella c. Italia, [GC], sentenza del 29 marzo 2006).

Ma è proprio sotto tale profilo che il rimedio interno, come attualmente disciplinato dalla legge “Pinto” così come modificata, risulta carente agli occhi della Corte costituzionale.

Conseguentemente, la Corte costituzionale ha ricordato che, sempre secondo la C.E.D.U., il differimento dell’esperibilità del ricorso alla definizione del procedimento in cui il ritardo è maturato ne pregiudica l’effettività e lo rende incompatibile con i requisiti al riguardo richiesti dalla Convenzione (si veda Lesjak c. Slovenia, sentenza del 21 luglio 2009).

I Giudici delle leggi hanno quindi auspicato che il vulnus riscontrato porti l’ordinamento a dotarsi di un rimedio effettivo a fronte della violazione della ragionevole durata del processo.

Il legislatore dovrà quindi attivarsi al più presto.