Il caso MEDVEDYEV c. Francia mette in discussione davanti alla CEDU lo status del Pubblico Ministero e la sua indipendenza dal potere esecutivo

Strasburgo, 10 maggio 2009 – Il 6 maggio 2009, la CEDU ha tenuto udienza in Grande Camera per esaminare il caso Medvedyev e altri c. Francia (ricorso no 3394/03).

Su tale vicenda la CEDU aveva già deciso con sentenza emessa in data 10 luglio 2008 (qui la versione in francese e in inglese), ma su richiesta di entrambe le parti, la causa era stata rinviata in Grande Camera.

Per la Francia questa sentenza è indubbiamente di una certa rilevanza in quanto riguarda la figura e l’indipendenza del procuratore della Repubblica. Ricordo in proposito che per taluni la Costituzione della V Repubblica ha dato ai procuratori uno status ambiguo, in quanto sottoposti direttamente al potere politico e tuttavia ritenuti indipendenti da tale potere, dato che “in udienza hanno libertà di parola”. In Francia, a partire dal 2002 si è assistito ad un fenomeno che ha portato il potere esecutivo a rinforzare nettamente la propria influenza gerarchica sui procuratori. L’attuale governo in carica ha inoltre intenzione di riformare il sistema giudiziario, dividendo il corpo giudiziario in due, da una parte i giudici, indipendenti, e dall’altra i procuratori.

Esaminando la vicenda, essa riguarda diversi ricorrenti, cittadini ucraini, rumeni, greci e cileni, i quali facevano parte dell’equipaggio del cargo Winner battente, all’epoca dei fatti, bandiera cambogiana.

In un’operazione di lotta internazionale contro il traffico di stupefacenti, le autorità francesi erano venute a conoscenza che la nave Winner poteva trasportare quantità considerevoli di droga. Il 13 giugno 2002, la marina francese decideva di intercettare la Winner in alto mare, al largo delle isole di Capo Verde, e di riportarla a Brest, in Francia, dove arrivava il 26 giugno.

I ricorrenti si sono lamentati davanti alla CEDU di essere stati arbitrariamente privati della loro libertà per essere stati detenuti sulla Winner per tredici giorni sotto la sorveglianza militare francese e successivamente per altri due o tre giorni a Brest al loro arrivo. Ciò sarebbe avvenuto in contrasto con il diritto internazionale e in mancanza di controllo da parte dell’autorità giudiziaria. I ricorrenti hanno infatti affermato che vi era stata violazione dell’articolo 5 §§ 1 e 3 (diritto alla libertà e sicurezza) della Convenzione, che, nelle sue parti rilevanti, testualmente recita:

“1. Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere  privato  della  libertà,  se  non  nei  casi seguenti  e  nei modi  previsti  dalla  legge:

a)   se  è  detenuto  regolarmente  in  seguito  a  condanna  da  parte  di  un  tribunale competente;

b)   se si trova in regolare stato di arresto o di detenzione per violazione di  un  provvedimento  emesso,  conformemente  alla  legge,  da  un  tribunale  o  allo  scopo  di  garantire  l’esecuzione  di  un  obbligo  prescritto dalla legge;

c)   se è stato arrestato o detenuto per essere tradotto dinanzi all’autorità  giudiziaria competente, quando vi sono motivi plausibili di sospettare  che egli abbia commesso un reato o vi sono motivi fondati di ritenere  che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di darsi alla  fuga dopo averlo commesso;

d)   d  se si tratta della detenzione regolare di un minore decisa allo scopo  di  sorvegliare  la  sua  educazione  oppure  della  sua  detenzione  regolare al fine di tradurlo dinanzi all’autorità competente;

e)   se  si  tratta  della detenzione  regolare  di  una  persona suscettibile  di  propagare una malattia contagiosa, di un alienato, di un alcolizzato,  di un tossicomane o di un vagabondo;

f)   se si tratta dell’arresto o della detenzione regolari di una persona per  impedirle di entrare illegalmente nel territorio, oppure di una persona  contro  la  quale  è  in  corso  un  procedimento  d’espulsione  o  d’estradizione.

(…)

3. Ogni persona arrestata o detenuta, conformememnte alle condizioni previste dal paragrafo 1.c del presente articolo, deve essere tradotta al più presto dinanzi ad un giudice o ad un altro magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura. La scarcerazione può essere subordinata a garanzie che assicurino la comparizione dell’interessato all’udienza”.

La CEDU aveva concluso accertando la violazione dell’art. 5 § 1 della Convenzione.

Secondo la CEDU,  la privazione della libertà non era avvenuta secondo le modalità previste dalla legge, questo perché era stata applicata una normativa che non  prevedeva espressamente alcuna ipotesi di privazione della libertà dei membri dell’equipaggio ne’ un controllo giudiziario a tale limitazione. Su questo secondo aspetto in particolare la CEDU ha ricordato che l’intervento del procuratore della Repubblica nel caso di specie non poteva essere sufficiente. Infatti secondo la CEDU, al procuratore della Repubblica manca la necessaria indipendenza dal potere esecutivo perché lo si possa considerare come un’autorità giudiziaria, cosi come lo prevede la sua giurisprudenza (§ 61).

Riguardo invece alla pretesa violazione dell’art. 5 § 3 della Convenzione, che impone che una persona arrestata venga tradotta “al più presto” davanti ad una autorità giudiziaria, la CEDU aveva ritenuto che per le particolari circostanze del caso, tale disposizione convenzionale non fosse stata violata.

Ricordo infine che la sentenza del 10 luglio 2008 si uniforma alla giurisprudenza della CEDU che sollecita  gli Stati membri a rinforzare le condizioni necessarie affinché i procuratori possano essere qualificati come magistrati (vedasi Schiesser c. Svizzera, (n. 7710/76), sentenza del 4 dicembre 1979 – qui la versione in francese e in inglese).

Ora tutto viene rimesso all’esame della Grande Camera. La CEDU dovrebbe emettere la sentenza entro l’anno 2009.