Il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Thomas Hammarberg afferma che in Europa la libertà dei media è minacciata

Strasburgo, 9 dicembre 2011 – In vista della Giornata dei diritti umani (10 dicembre), Thomas Hammarberg, Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, ha presentato una nuova opera intitolata Human rights and a changing media landscape, in occasione di una conferenza stampa organizzata da ARTICLE 19, giovedì 8 dicembre 2011 a Londra.

“La difesa di tutti i diritti umani dipende dalla libertà e dal pluralismo dei media. Da qui l’urgenza di contrastare le restrizioni imposte dai governi e la tendenza alla creazione di monopoli”, ha dichiarato Hammarberg in questa occasione.

L’opera appena uscita riunisce i contributi di otto esperti, che il Commissario ha invitato ad esprimersi su sei temi considerati da un punto di vista dei diritti umani: i media sociali, la tutela dei giornalisti contro la violenza, il giornalismo etico, l’accesso ai documenti delle autorità pubbliche, i media del servizio pubblico e il pluralismo dei media.

Nella prefazione dell’opera, Thomas Hammarberg insiste sul ruolo svolto dai media nel rivelare violazioni dei diritti umani e nel permettere a diverse voci di farsi sentire nel dibattito pubblico.

Il Commissario sostiene che la radiodiffusione del servizio pubblico contribuisce a garantire il pluralismo dei media.

Un altro importante problema riguarda l’esistenza di monopoli dell’informazione nel settore privato. La concentrazione dei media nelle mani di pochi gruppi aumenta il rischio di un’informazione di parte minaccia l’indipendenza dell’editoria.

In Italia, ad esempio, mentre era Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi era contemporaneamente il maggiore azionista della più grande azienda televisiva privata (attraverso il 39 per cento di quote di Mediaset detenute da Fininvest). Questo ha portato a un’interferenza del governo nel settore dei media oltre e sollevare seri dubbi sulla distribuzione del potere in seno alla società.

L’esigenza di garantire il pluralismo dei media è stata sottolineata in una Raccomandazione del Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa che invita gli Stati membri a mettere a disposizione del pubblico  una gamma sufficiente di media, proposta da differenti proprietari, pubblici e privati.”

Il Commissario ha aggiunto che qualsiasi caso di violenza o di minaccia contro un giornalista deve dar luogo ad un’inchiesta seria e rapida, poiché l’impunità incoraggia a commettere altri omicidi e tende a paralizzare il dibattito pubblico.

“Mi auguro che questo libro attirerà l’attenzione sulle sfide attuali. È necessario un dibattito pubblico serio sull’evoluzione dei media e le sue conseguenze per i diritti umani”, ha concluso il Commissario.

Libertà di espressione : la CEDU la riconosce ai giudici che denunciano pubblicamente di subire pressioni durante l’esercizio delle loro funzioni

Strasburgo, 18 marzo 2009 – Segnalo questa recente sentenza della CEDU, a mio parere di particolare interesse ed attuale. La pronuncia affronta infatti un tema importante quale la libertà di espressione per i magistrati. Per la CEDU un magistrato che denuncia pubblicamente di aver subito pressioni da colleghi e non durante l’esercizio delle proprie funzioni, è tutelato dall’articolo 10 della Convenzione.

Con la sentenza del 26 febbraio 2009, la CEDU ha deciso che nel caso KOUDESHKINA c. Russia (n° 29492/05) vi è stata violazione dell’articolo 10 della Convenzione (libertà di espressione). La Russia è stata condannata in quanto la sanzione imposta alla ricorrente, sollevata dal suo incarico di magistrato per delle dichiarazioni critiche prounciate nei confronti di altri colleghi e rilasciate ai media, è stata ritenuta eccessiva e sproporzionata.

All’epoca dei fatti la ricorrente era giudice da diciotto anni presso il Tribunale di Mosca. Nel 2004 venne revocata dal suo incarico di magistrato per aver accusato pubblicamente degli alti magistrati di esercitare delle pressioni nei suoi confronti relativamente ad un procedimento penale, assegnatole nel 2003, che si occupava di un abuso di potere perpetrato dal funzionario di polizia Z.

Nell’estate del 2003 l’indagine venne tolta alla ricorrente. Esiste tuttavia una divergenza sulle circostanze che portarono alla revoca dell’indagine. Dalla sentenza della CEDU, risulta infatti che secondo la ricorrente l’indagine le venne revocata dal Presidente del Tribunale di Mosca senza alcuna spiegazione, mentre per il Governo russo il procedimento venne revocato in quanto la ricorrente ne aveva posticipato la disamina.

Fatto sta che a inizio dicembre 2003, la ricorrente rilasciò diverse interviste a giornali e ad una emittente radio affermando che il Presidente del Tribunale di Mosca aveva esercitato su di lei delle pressioni mentre indagava sul caso Z., lasciando intendere che quella non era neppure la prima volta.

Sempre in dicembre, la ricorrente si rivolse alla Commissione Superiore delle competenze della magistratura (la « Commissione ») denunciando le pressioni subite. La Commissione stilò un rapporto decidendo di non dover procedere disciplinarmente nei confronti del Presidente del Tribunale di Mosca.

Nel frattempo il Presidente del Consiglio della magistratura di Mosca revocò la ricorrente dalla sua funzione, ritenendo che la sua condotta fosse incompatibile con il ruolo giudiziario svolto. In particolare alla ricorrente veniva rimproverato di aver offeso intenzionalmente il sistema giudiziario e alcuni giudici e di aver formulato false accuse che avrebbero potuto indurre in errore i cittadini e intaccare il prestigio dell’autorità giudiziaria.

Nel maggio 2004, la Commissione decise che la ricorrente non poteva più esercitare la funzione di giudice. La Commissione rimproverava inoltre alla ricorrente di aver divulgato informazioni specifiche che riguardavano la procedura penale promossa nei confronti di Z. prima che fosse stata pronunciata una sentenza definitiva.

Contro tale provvedimento la ricorrente fece opposizione davanti al Tribunale di Mosca. In seguito la ricorrente si rivolse alla Corte Suprema lamentandosi della parzialità del Tribunale di Mosca e chiedendo pertanto che il suo caso venisse assegnato ad un’altra giurisdizione. Con sentenza del 19 gennaio 2005, la Corte Suprema respinse la richiesta della ricorrente, confermando la decisione di revoca adottata nei suoi confronti.

La ricorrente afferma che la revoca dalla sua funzione di giudice è dovuta al fatto di aver accusato pubblicamente dei magistrati di averle fatto pressione mentre si occupava di un procedimento penale importante. Ciò violerebbe il suo diritto alla libertà di espressione cosi come garantito dall’articolo 10 della Convenzione.

La CEDU ha accertato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, la ricorrente durante le interviste rilasciate non aveva divulgato alcuna informazione riservata. Inoltre il procedimento interno promosso nei confronti della ricorrente non ha convinto la CEDU sulle censure formulate la denuncia di pressioni formulata dalla ricorrente non è stata respinta in modo convincente durante il procedimento interno promosso nei sui confornti. Ma l’elemento più interessante è che la CEDU ha invece affermato che la ricorrente, criticando pubblicamente l’abitudine di fare pressione sui giudici, ha sollevato un’importante questione d’interesse générale meritevole di essere oggetto di dibattito in una società democratica. La CEDU ha ritenuto infatti che le critiche della ricorrente sono da ritenersi un commento obiettivo su una questione di grande importanza per il pubblico.

La CEDU ha inoltre ritenuto che la procedura interna nei confronti della ricorrente è stata parziale. La revoca ha avuto inoltre un effetto inibitore duplice. Da una parte quello di tacitare la ricorrente e dall’altra quello di intimidire gli altri giudici nel caso vogliano partecipare al pubblico dibattito sull’efficacia del sistema giudiziario.

La CEDU ha concluso che la sanzione inflitta alla ricorrente fosse sproporzionalta e in violazione dell’articolo 10 della Convenzione. La Russia è stata condannata a corrispondere alla ricorrente la somma di 10.000 euro per danni morali.