Il rappresentante dell’OSCE per la libertà dei Media chiede al Presidente del Consiglio dei Ministri italiano di rinunciare alle cause promosse nei confronti di due quotidiani italiani

Strasburgo, 22 settembre 2009 – Il 20 settembre scorso, Miklos Haraszti, il rappresentante dell’OSCE per la libertà dei media ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, chiedendogli di ritirare le cause promosse nei confronti di due quotidiani italiani, la Repubblica e l’Unità.

Qui potete trovare il link al comunicato stampa emesso dall’OSCE (in versione inglese).

Controllo politico e regime di monopolio nel servizio radiotelevisivo pubblico sono motivo di violazione della libertà di stampa. Cosi la CEDU si pronuncia nel caso Manole e altri c. Moldavia

Strasburgo, 20 settembre 2009 – con sentenza del 17 settembre 2009, la CEDU si è pronunciata nel caso Manole e altri c. Moldavia (ricorso n. 13936/02), dichiarando la violazione dell’articolo 10 della Convenzione. La vicenda è di grande attualità perché riguarda la libertà di espressione con riferimento al controllo politico e al regime di monopolio esistente in Moldavia sulla televisione pubblica, fatto che impedisce il libero esercizio della libertà di stampa.

Questa segnalazione nasce perchè, leggendo il caso, ho riscontrato alcune analogie con quanto sta succedendo in Italia in tema di informazione e di servizio pubblico pluralistico ed imparziale.

A mio avviso e con i dovuti distinguo, anche in Italia si sta assistendo ad un controllo sempre più forte del potere politico sull’informazione nel servizio pubblico. Questo controllo, associato ad un regime di grande concentrazione del sistema radiotelevisivo nelle mani di singoli, fa sorgere sempre più dubbi sulla garanzia del pluralismo in Italia e, in ultima analisi, sulla tenuta del sistema democratico.

È di pochi giorni fa la censura al trailer di Videocracy (qui il comunicato RAI sui motivi di censura) e l’annullamento della trasmissione già programmata “Ballarò”, prevista per il 15 settembre 2009, colpevole di andare in onda nello stesso momento dell’edizione straordinaria di “Porta a Porta”, per evitare la sovrapposizione di due programmi su un medesimo argomento, il terremoto dell’Aquila  (qui un commento dell’associazione Articolo21). Oppure il fatto che il servizio pubblico non voglia più garantire la copertura legale a coloro che lavorano ai servizi di “Report” (qui l’intervista a Milena Gabbanelli), con il presumibile intento di intimidirli perché eventuali azioni legali dovranno essere sostenute dagli stessi in prima persona. O ancora, il fatto che non siano stati ancora rinnovati i contratti per la partecipazione al programma “Annozero” del giornalista Travaglio e dell’umorista Vauro. Per non parlare del fatto che i direttori delle testate giornalistiche del servizio pubblico possono essere solo quelli “graditi” alla classe politica. A ciò si aggiunge il fatto che l’organo preposto per garantire l’imparzialità del servizio pubblico attualmente esistente non sembra essere in grado di garantirne una vera indipendenza.

Sulla libertà di stampa in Italia si discute anche a livello internazionale. Ci sono documenti che permettono di dare un quadro a mio avviso preoccupante sullo stato di salute di questo fondamentale diritto. In particolare, ricordo l’avviso sulla compatibilità delle leggi “Gasparri” e “Frattini” con gli standard del Consiglio d’Europa in materia di libertà di espressione e pluralismo dei media, adottato dalla Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa nel corso della 63ma Sessione Plenaria nel giugno 2005 e  il rapporto del 2008 di Freedom House. Ma anche l’Unione europea è intervenuta diverse volte sulla questione della concentrazione dei media in Italia.

Detto questo, passo all’esame di Manole e altri c. Moldavia per poter permettere a chi legge di riflettere sull’esistenza di eventuali analogie tra questo caso e la situazione italiana.

La vicenda riguarda alcuni giornalisti, capi redattori e programmatori, i ricorrenti, che hanno lavorato per la televisione Teleradio-Moldavia (TRM) e che hanno denunciato che la televisione pubblica in Moldavia, da sempre sottoposta ad un controllo politico, a partire dal febbraio 2001, quando il partito comunista ha vinto a larga maggioranza le elezioni politiche, ha visto il licenziamento di molti giornalisti, sostituiti da persone gradite al Governo. I ricorrenti affermano che a partire dal 2001 le restrizioni alla libertà giornalistica sono diventate molto più forti.

Per dimostrare il loro assunto i ricorrenti fanno riferimento ad una serie di fatti.

Innanzitutto i ricorrenti denunciano che i servizi favorevoli al Governo, che prendevano i due terzi dei notiziari, avevano una durata tra i 3 e i 5 minuti mentre gli altri avvenimenti avevano una durata che variava dai 60 ai 90 secondi. I notiziari inoltre non dovevano riferire di alcun conflitto all’interno del Paese o degli eventi organizzati dall’opposizione o da organizzazioni non governative o da persone in opposizione alla linea politica del partito di maggioranza. I ricorrenti riferiscono dell’esistenza di una “lista nera” comprendente il nome di personaggi di spicco del mondo politico, culturale e scientifico che non sostenevano il partito comunista a cui era negato l’accesso ai programmi di TRM. Nei rari casi in cui un membro dell’opposizione era intervistato, la sua intervista veniva interrotta oppure il suo contenuto veniva modificato dal commento giornalistico o addirittura il commento veniva fornito dall’agenzia di stampa governativa, la Moldpress.

I ricorrenti denunciano che i programmi come i notiziari furono sottoposti a censura. Gli argomenti controversi furono proibiti, la selezione degli ospiti controllata, i programmi in diretta aboliti, il palinsesto settimanale doveva essere approvato dal Presidente di TRM. I programmi non approvati venivano eliminati senza preavviso per gli spettatori o i partecipanti e senza alcuna spiegazione.

Frasi come “rumeno”, “lingua rumena”, “bessarabia”, “storia dei rumeni”, “regime totalitario” furono proibite, cosi come il riferimento a particolari periodi storici, come il periodo tra le due guerre mondiali, la carestia nell’USSR, il regime stalinista, il gulag e il periodo di risveglio nazionale del 1989.

I ricorrenti riportano anche una serie di fatti specifici. Un giornalista aveva subito una sanzione disciplinare per aver usato le espressioni “regime comunista totalitario, “governo comunista” e “la piazza della grande assemblea nazionale” durante una diretta sul giorno dell’Indipendenza, il 27 agosto 2001. L’intervista a Mircea Snegur, il primo Presidente della Modavia, aveva subito dei tagli. Un giornalista era stato sanzionato per aver registrato un’intervista con il Presidente dell’Unione dei lavoratori del cinema durante la quale l’intervistato aveva riferito che “nel periodo di regime totalitario le chiese sono distrutte”. Un’intervista al precedente segretario generale del partito comunista, del 22 settembre 2001, aveva subito tagli perché l’intervistato, riferendosi alla situazione economica in Moldavia, aveva affermato che “al momento non si vede alcuna luce alla fine del tunnel”. Un programma, che avrebbe dovuto andare in onda il 28 ottobre 2001, riguardante i cantanti Doina e Ion Aldea Teodorovici era stato cancellato. Vi era stato il rifiuto di fornire copertura mediatica alla posizione dell’opposizione durante un reportage del 22 febbraio 2002 relativa ad un dibattito parlamentare sulla situazione socio-politica. Un servizio riguardante una conferenza stampa tenuta da un deputato dello schieramento parlamentare “Alianţa Braghiş”, che criticava le proposte del Governo per una riforma territoriale amministrativa era stato censurato. I servizi riguardanti il Congresso dei filologi e la conferenze organizzate dagli storici erano stati proibiti perché l’opinione sulla “storia dei rumeni” sarebbero state espresse in lingua rumena. Era stato vietato di effettuare, nell’aprile 2002, un servizio speciale sull’inaugurazione del Museo di Storia nazionale, dedicato alle vittime della repressione stalinista. Era stato vietato di diffondere un servizio speciale nel luglio 2002, su Elle Pelerino, perché la stessa aveva riferito della deportazione sovietica dei tedeschi. Era stato cancellato un servizio speciale nel luglio 2002 su Gherge Ghimpu, per il titolo del suo libro “la coscienza nazionale dei rumeni moldavi”. Era stata vietata, durante il periodo natalizio 2002 e 2003, qualsiasi intervista con sacerdoti della Chiesa metropolitana di Bessarabia.

Infine i ricorrenti riferiscono che il 28 novembre 2003 il talk show “Bună Seara”, era stato dedicato alla discussione del piano per il federalismo della Moldavia proposto dalla Federazione della Russia. Gli ospiti dello show erano Vladimi Filipov, rappresentante del Consiglio d’Europa in Moldavia, Klaus Neurkirh, il portaparola della missione OSCE, e i tre leader degli schieramenti parlamentari: Victor Stepaniuc, Dumitru Braghiş e Iurie Roşca. Vladimir Filipov, a poche ore dalla messa in onda, era stato chiamato dal Presidente di TRM il quale gli aveva riferito che lo show era stato cancellato. La produzione e il presentatore tuttavia non erano stati informati. Il rappresentante dell’OCSE, Dumitru Braghiş e Iurie Roşca arrivarono in studio. Il pubblico prese posto e lo show cominciò. Ma all’insaputa dei partecipanti e senza alcuna spiegazione, il programma non veniva messo in onda e al suo posto veniva trasmesso un film. I giornalisti che avevano lavorato allo show furono successivamente interrogati dalla polizia.

I ricorrenti fanno inoltre riferimento alle proteste e agli scioperi avvenuti nel 2002. Le contestazioni, avvenute dal 9 gennaio al maggio 2002, erano state promosse dal principale partito di opposizione, il partito del popolo cristiano-democratico, e la protesta era concentrata contro le decisioni prese del Governo di modificare il programma scolastico di storia e di reintrodurre lo studio obbligatorio della lingua russa. Le dimostrazioni nella piazza della Grande Assemblea Nazionale, davanti al palazzo del Governo, avevano coinvolto diecimila manifestanti.

I ricorrenti denunciano che la copertura mediatica su tali manifestazioni fu molto limitata e strettamente controllata tanto che fu vietato di dare alcuna informazione sui motivi della protesta. Per questo motivo il 25 febbraio 2002, 331 dipendenti di TRM fecero uno sciopero per chiedere la fine della censura. Per tale sciopero a due giornalisti di TRM vennero irrogate sanzioni disciplinari. Gli interessati si opposero e vinsero la causa.

Nell’aprile 2002, il Consiglio di coordinamento dei media moldavo aveva pubblicato le proprie conclusioni sulla denuncia di censura nei confronti di TRM. Il Consiglio pur constatando che certe parole e soggetti erano vietati nei servizi di TRM, aveva respinto ogni altra denuncia di censura ritenendole delle scuse invocate dai giornalisti per giustificare la loro mancanza di professionalità.

La CEDU, prima di pronunciarsi nel merito inquadra il caso in un contesto normativo sia internazionale che nazionale, facendo particolare riferimento a raccomandazioni e rapporti del Consiglio d’Europa e a relazioni di organizzazioni non governative in tema di libertà di stampa.

Vengono citati i lavori della quarta conferenza sulla politica dei mass media tenutasi a Praga dal 7 all’8 dicembre 1994 dove il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha adottato la risoluzione n. 1 sul futuro del servizio pubblico di radiotelevisivo, la raccomandazione n. R(96)10 adottata nel 1996 sulla garanzia e l’indipendenza del servizio pubblico di radiodiffusione, la raccomandazione Rec(2000)23 sull’indipendenza e le funzioni delle Autorità regolatrici per il settore radiotelevisivo e la dichiarazione sulle garanzie per l’indipendenza del servizio pubblico radiotelevisivo negli stati membri adottato il 7 settembre 2006.

La CEDU fa poi riferimento ad altri rapporti che riguardano l’illegittima influenza politica su TRM. In particolare vengono menzionati il rapporto del gennaio 2004 del rappresentante speciale del Segretario Generale del Consiglio d’Europa in Moldavia e le osservazioni e raccomandazioni del rappresentante dell’OCSE per la libertà dei media in seguito alla sua visita effettuata in Moldavia dal 18 al 21 ottobre 2004. La CEDU fa poi riferimento ad un documento pubblicato congiuntamente da OCSE e Consiglio d’Europa sulla situazione della radiotelevisione in Moldavia. Infine la CEDU menziona una pubblicazione della Commissione europea (COM(2004)373) che si occupa anche di diritti fondamentali in Moldavia, tra cui la libertà di stampa. La CEDU infine fa riferimento al rapporto dell’organizzazione non governativa The Independent Journalism Center (IJC) che ha monitorato i programmi di TRM tra giugno 2004 e ottobre 2005 e al rapporto di un’altra organizzazione internazionale non governativa, Article 19, avente ad oggetto il servizio pubblico di radiotelevisione in Bielorussia, Moldavia e Ucraina.

Per quanto riguarda il merito della vicenda, i ricorrenti denunciano che durante la loro attività di giornalisti presso TRM, sono stati sottoposti a censura, imposta questa dalle autorità statali attraverso la dirigenza di TRM, e che ciò è in contrasto  con l’articolo 10 della Convenzione.

Prima di esaminare il caso, la CEDU richiama la sua giurisprudenza e i principi generali (§§ 95-114) da essa elaborati in materia di libertà di espressione e in particolare di libertà di stampa.

La CEDU richiama innanzitutto il principio secondo cui non ci può essere democrazia senza pluralismo. Inoltre la CEDU ricorda quanto sia importante la libertà di stampa, in quanto fornisce all’opinione pubblica uno degli strumenti migliori per conoscere e giudicare le idee e le attitudini degli uomini politici. La CEDU ricorda poi che l’opinione pubblica ha il diritto di ricevere le informazioni e le idee (si vedano i casi Partito socialista e altri c. Turchia, 1998, §§ 41, 45 e 47, Lingens c. Austria, 8 luglio 1986, § 41 e Handyside c. Regno Unito, § 49, 7 dicembre 1976).

Riguardo alla radio e alla televisione, la CEDU ricorda quanto questi mezzi abbiano un ruolo particolarmente importante, questo perché riescono a trasmettere il loro messaggio attraverso suoni ed immagini e pertanto con un impatto più immediato e potente (si vedano i casi Jersild c. Danimarca, 23 Settembre 1994, § 31 e Pedersen e Baadsgaard c. Danimarca [GC], n. 49017/99, § 79).

La CEDU passa quindi a ricordare che quando in una società viene permesso ad un potere economico o a un gruppo politico di ottenere una posizione di dominio e di controllo dei media e quando questi esercitano una pressione sul sistema radiotelevisivo ed eventualmente limitano la loro libertà editoriale, mettono a repentaglio il ruolo fondamentale della libertà di espressione in una società democratica così come garantita dall’art. 10 della Convenzione, in particolare quando essa serve per comunicare informazioni ed idee di interesse generale, che il pubblico può peraltro pretendere (si veda VGT Verein gegen Tierfabriken c. Svizzera, n. 24699/94, §§ 73 e 75; si veda anche De Geillustreerde c. Paesi Bassi, n. 5178/71, decisione della CommEDU del 6 luglio 1976, § 86). Secondo la CEDU questo vale anche dove la posizione di controllo è esercitata da un sistema radiotelevisivo statale o pubblico. La CEDU ha affermato che, tenuto conto della loro radicalità, un regime di licenze che riconosce al sistema pubblico radiotelevisivo un monopolio sulle frequenze utilizzabili può essere giustificato solo da una prevalente necessità (si veda Informationsverein Lentia e altri c. Austria, 24 novembre 1993, § 39).

La CEDU passa poi a ricordare che un genuino ed effettivo esercizio della libertà di espressione non dipende solamente dal dovere dello Stato di non interferire, ma richiede che lo stesso adotti misure positive di protezione, attraverso le leggi o la prassi (si veda per esempio Özgür Gündem c. Turhia, n. 23144/93, §§ 42-46; Fuentes Bobo c. Spagna, n. 39293/98, § 38, 29 febbraio 2000; Appleby e altri c. Regno Unito,n. 44306/98, §§ 39-40). Lo Stato deve essere quindi considerato come il garante del pluralismo (si vedano Informationsverein Lentia e altri, § 38; VGT Verein gegen Tierfabriken, §§ 44-47).

La CEDU ritiene inoltre che nel campo del sistema radiotelevisivo, lo Stato abbia l’obbligo di assicurare in primo luogo che il pubblico possa avere accesso, attraverso la radio e la televisione, ad un’informazione imparziale ed accurata e ad uno spettro di opinioni e commenti che riflettano le diverse posizioni politiche; in secondo luogo che ai giornalisti e agli altri professionisti che lavorano nel campo del sistema radiotelevisivo non venga impedito di comunicare un’informazione o un commento (§ 100).

Secondo la CEDU, quando uno Stato decide di creare un sistema radiotelevisivo pubblico, deve garantire, attraverso la legge nazionale e la prassi, un sistema che fornisca un servizio pluralistico. Soprattutto quando le stazioni private non offrono una genuina alternativa al servizio pubblico. Per un corretto funzionamento della democrazia è indispensabile che le trasmissioni del servizio pubblico siano imparziali ed indipendenti. In esse deve essere possibile un ampio scambio di informazioni e commenti e i forum di discussione si devono svolgere con la possibilità di un ampio scambio dei diversi punti di vista (§ 101).

La CEDU passa poi ad esaminare se nel caso di specie vi sia stata un’interferenza, ad opera dello Stato, sul diritto alla libertà di espressione dei ricorrenti. Secondo la CEDU, le attività della dirigenza di TRM non hanno fornito un’opportunità sufficiente per rappresentare adeguatamente i partiti di opposizione. Inoltre la CEDU prende in considerazione anche il fatto che era stata vietata o limitata grandemente la discussione su argomenti ritenuti sensibili o sgraditi al Governo. Per tali ragioni la CEDU ha ritenuto che i ricorrenti, in quanto giornalisti editori e produttori presso TRM, abbiano subito un’interferenza nel loro diritto alla libertà di espressione (§ 106).

La CEDU ha ritenuto quindi che TRM non sia riuscita a garantire un informazione bilanciata e pluralistica e che lo Stato non abbia posto in essere un sistema normativo tale da garantire a TRM la necessaria indipendenza dal potere politico (§§ 108-110).

La CEDU ha quindi concluso che vi è stata violazione dell’articolo 10 della Convenzione. La CEDU ha stabilito pertanto che la Moldavia ha l’obbligo di trovare le misure più appropriate per modificare la situazione esistente, attraverso una riforma legislativa, per assicurare il rispetto della libertà di espressione garantita dall’art. 10 della Convenzione (§ 117).

Il disegno di legge sulle intercettazioni approvato alla Camera limiterà la libertà di stampa. A rischio l’interesse pubblico

Strasburgo, 12 giugno 2009 – Ieri la Camera dei deputati italiana ha approvato il disegno di legge “Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice e degli atti di indagine. Integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche” (1415). Nei prossimi giorni il disegno di legge passerà al Senato.

Sul questo disegno di legge si è pronunciato il CSM (si veda il parere del 17 febbraio 2009), oltre a giuristi e a moltissimi giornalisti.

La regolamentazione delle intercettazioni è nata dall’esigenza di evitare la pubblicazione di conversazioni registrate e avvenute con persone terze e non implicate nelle indagini giudiziarie. Tuttavia, a parere di molti il disegno di legge approvato alla Camera, renderà difficili e complicate quelle stesse indagini giudiziarie che si svolgono e si svolgeranno su ipotesi di reato gravi come l’omicidio, la rapina, la pedofilia e la corruzione. Le notizie potranno inoltre essere date solo a conclusione delle indagini preliminari.

L’impatto di questo disegno di legge sul diritto all’informazione sarà a mio avviso sostanzialmente negativo. Difatti, impedendo ai giornalisti di fare informazione su rilevanti inchieste penali fino alla chiusura delle indagini preliminari, i cittadini verranno a conoscenza di vicende di rilevante interesse pubblico molto tardi o addirittura mai.

Esaminando la questione dal punto di vista della Convenzione, ricordo che l’articolo 10, sulla libertà di espressione, stabilisce che:

Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. (…)”

L’elaborazione giurisprudenziale della CEDU in materia enuncia una serie di principi che conferiscono alla stampa un’importanza particolare nella libertà di espressione.

Tra tali principi, ricordo che la CEDU riconosce alla libertà di stampa un ruolo particolare in questioni di interesse pubblico.

Tra i tanti, ricordo il caso Sunday Times (n. 1) c. Regno Unito, dove la CEDU, con sentenza del 26 aprile 1979 si è pronunciata su un ricorso presentato dall’editore, il redattore capo e un gruppo di giornalisti del settimanale inglese Sunday Times. Nel 1972, una casa editrice aveva pubblicato sul settimanale inglese menzionato un articolo sulla vicenda drammatica riguardante il commercio e l’utilizzo di farmaci contenenti talidomide che, assunti da donne incinte, aveva provocato malformazioni gravissime ai bambini poi nati. Su questa vicenda venivano aperte delle indagini giudiziarie per accertare le eventuali responsabilità della casa farmaceutica produttrice del farmaco. Sulla vicenda il Sunday Times pubblicava un articolo che titolava “I nostri bambini vittime del talidomide: una vergogna per il paese”, preannunciando la pubblicazione di un secondo articolo sullo stesso argomento. Ma l’autorità giudiziaria interveniva vietando la diffusione del secondo articolo, essendoci già un procedimento giudiziario in corso.

In questo caso la CEDU ha affermato che l’ingerenza della pubblica autorità inglese, esercitata vietando la pubblicazione di notizie sulla vicenda del talidomide, non corrispondeva ad un bisogno sociale tale da prevalere sull’interesse pubblico legato alla libertà di espressione.

Detto questo, si può giungere alla conclusione che il disegno di legge sulle intercettazioni, in corso di approvazione, non permettendo di fare informazione su  rilevanti questioni di interesse pubblico, potrà violare quanto sancito dall’articolo 10 della Convenzione.