Vicenda Englaro, la CEDU dichiara inammissibili i ricorsi presentati da associazioni e privati che non avevano alcun titolo per potersi pretendere vittime

Strasburgo 27 dicembre 2008 – Con decisione del 22 dicembre 2008, la CEDU ha dichiarato inammissibili otto ricorsi riuniti tra loro. Nel caso ADA ROSSI e ALTRI c. Italia sei associazioni italiane hanno sostenuto che l’esecuzione della decisione della Corte d’Appello di Milano sul caso Englaro avrebbe potuto avere su di loro effetto negativo tanto da configurare una violazione degli artt. 2 (diritto alla vita) e 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) della Convenzione. Affermano inoltre che ci sarebbe stata violazione anche dell’art. 6 § 1 della Convenzione.

Si ricorda che nel 1992 a causa di un incidente stradale una giovane donna, Eluana Englaro (E. E.), riportò gravissime ferite tanto da rimanere in stato vegetativo con tetrapalgia spastica e perdita di tutte le facoltà psichiche superiori. Da allora la giovane è rimasta in vita esclusivamente con l’aiuto dell’alimentazione e idratazione artificiale.

Nel 1999 il padre e tutore iniziò una causa per poter ottenere l’autorizzazione a interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiale. Basava la propria richiesta su testimonianze riguardanti il pensiero della figlia riguardo alle sue convinzioni sulla vita. Dopo un lungo e travagliato percorso giudiziario, la Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 25 giugno 2008, diede l’autorizzazione. In seguito si pronunciò anche la Corte Costituzionale, respingendo un ricorso presentato dal Parlamento e riguardante un possibile conflitto di attribuzione dei poteri dello Stato. Infine, l’11 novembre 2008, la Corte di Cassazione respinse per incapacità di agire il ricorso del Procuratore di Milano proposto contro la decisione della Corte d’Appello del 25 giugno 2008.

La CEDU ha ricordato innanzitutto che non è sufficiente sostenere che una legge o una decisione possono violare, in quanto tali, propri diritti garantiti dalla Convenzione. La legge o la decisione devono essere applicate nello specifico e produrre un pregiudizio. Inoltre il ricorso non ha come obiettivo quello di prevenire una violazione della Convenzione ed è solo in circostanze eccezionaliche il rischio di una violazione futura può conferire al ricorrente la qualità di vittima di una violazione della Convenzione.

Nel caso di specie e relativamente agli artt. 2 e 3 della Convenzione, la CEDU ha rilevato che i ricorrenti non avevano alcun legame diretto con E. E. e che la vicenda giudiziaria non li tocca direttamente in quanto la decisione della Corte d’Appello di Milano del 25 giugno 2008 è un atto giudiziario riguardante esclusivamente le parti della procedura. Pertanto i ricorrenti non possono considerarsi vittime, neppure potenzialmente, delle violazioni lamentate. Per quanto riguarda l’art. 6 § 1 della Convenzione, la CEDU ha dichiarato che la pretesa violazione è manifestamente infondata, in quanto i ricorrenti non erano parti nella procedura oggetto del ricorso.

Discriminazione, la CEDU rinvia in Grande Camera il caso Oršuš e altri c. Croazia

Strasburgo 19 dicembre 2008 – Il 1° dicembre 2008, la CEDU, su richiesta dei ricorrenti, ha rinviato il caso Oršuš e altri c. Croazia (ricorso n° 15766/03) alla Grande Camera.

Tutto comincia nel 2003, quando quattordici ricorrenti di origine rom presentarono ricorso alla CEDU, lamentandosi di essere stati inseriti in classi composte esclusivamente da persone appartenenti della loro etnia.

Gli interessati riferivano di aver iniziato una procedura a livello nazionale contro le scuole elementari che avevano frequentato, affermando che era stato loro impartito un insegnamento il cui contenuto era ridotto del 30% rispetto al programma nazionale ufficiale, situazione secondo loro dovuta ad una discriminazione razziale con conseguente violazione del loro diritto all’istruzione e a non subire un trattamento inumano o degradante. A conforto delle loro affermazioni, facevano riferimento ad uno studio psicologico su allievi rom presenti nelle scuole della regione ed educati nelle classi riservate ai Rom, e quindi sottoposti ad una differenziazione scolastica di tipo segregativo. Secondo questo studio, la diversità educativa esistente aveva causato a questi bambini un pregiudizio emozionale e psicologico tale da intaccare la loro autostima e la costruzione della loro identità. L’autorità giudiziaria competente respingeva il ricorso. In particolare feceva presente che la maggioranza dei bambini rom era stata inserita nelle classi riservate esclusivamente ai Rom per il motivo che avevano bisogno di corsi di sostegno per l’apprendimento della lingua croata e che l’insegnamento delle scuole elementari era identico a quello delle altre scuole. Non vi era stata pertanto alcuna discriminazione. Anche l’appello proposto dai ricorrenti venne respinto. Infine anche la Corte Costituzionale si pronunciava sul caso di specie, respingendo a sua volta la richiesta dei ricorrenti.

Invocando gli artt. 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) e 6 § 1 (diritto ad un processo equo entro un termine ragionevole) della Convenzione, l’art. 2 del Protocollo n° 1 (diritto all’istruzione) e l’art. 14 della Convenzione, i ricorrenti affermavano che il loro inserimento nelle classi riservate ai Rom li ha privati del loro diritto di essere educati in un ambiente multi-culturale e di aver causato loro un pregiudizio educativo, psicologico ed emozionale che si è tradotto in particolare in un sentimento di alienazione e di perdita di autostima. Denunciavano inoltre che la durata eccessiva della procedura intentata davanti alle giurisdizioni civili per far valere tali diritti.

Con sentenza del 17 luglio 2008, la CEDU ha concluso all’unanimità per la non violazione dell’art. 2 del Protocollo n° 1 (diritto all’istruzione) preso isolatamente e in combinazione con l’art. 14 della Convenzione (divieto di discriminazione). La CEDU ha invece accertato la violazione dell’art. 6 § 1 (diritto ad un processo equo entro un termine ragionevole) della Convenzione.

Ora la CEDU, in Grande Camera, potrà riesaminare la sentenza del 17 luglio 2008 e pronunciarsi diversamente su tutta la vicenda.

Esproprio formale: la CEDU condanna l’Italia nel caso CIGNOLI e altri c. Italia

Strasburgo, 12 dicembre 2008 – Con sentenza del 9 dicembre 2008, la seconda sezione della CEDU si è pronunciata in un caso di esproprio, CIGNOLI e altri c. Italia (ricorso n. 68309/01), accertando la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n° 1. Lo Stato italiano è stato condannato al pagamento della somma di 267.000 € per danni materiali, oltre alle spese e competenze di procedura, liquidate queste in 10.000 €.

La vicenda si può così riassumere.

Nel 1972 i ricorrenti furono espropriati di alcuni terreni edificabili di loro proprietà. Nel 1980 la pubblica autorità occupò tali terreni e, ai sensi della legge n. 385/1980, quantificò l’acconto sull’indennità di esproprio, a sua volta determinata ai sensi della legge 865/1971. La somma offerta, pari a Lire 16.161.160 era stata calcolata come se il terreno oggetto di esproprio fosse stato un terreno agricolo, non esistendo all’epoca una legge che consentisse di quantificare l’indennità per i terreni edificabili. I ricorrenti rifiutarono l’offerta e nel 1983 i terreni furono espropriati dalla Regione.

Nel frattempo, con sentenza n. 223/1983 la Corte Costituzionale dichiarava incostituzionale la legge n. 385/1980 perché subordinava la quantificazione dell’indennità all’adozione di una legge futura.

Nel 1986, il Comune fissò definitivamente l’indennità di esproprio in Lire 12.000 al m2 e ciò facendo riferimento ai criteri indicati dalla legge n. 2359/1865, ritornata applicabile a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 223/1983. I ricorrenti adirono la Corte d’Appello di Milano contestando i criteri di quantificazione dell’indennità di esproprio. Secondo gli stessi, il valore doveva essere quantificato in base al valore di mercato dei terreni in causa al momento dell’esproprio.

Dopo aver disposto una perizia tecnica, la Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 10 dicembre 1991, accertando la natura edificabile dei terreni oggetto di causa, individuava l’indennità di esproprio in Lire 389.128.000, somma corrispondente al valore venale dei terreni al momento dell’esproprio.

Il Comune ricorse in Cassazione chiedendo peraltro l’applicazione della legge n. 359/1992, entrata nel frattempo in vigore. Con sentenza del 19 settembre 1995, la Corte di Cassazione cassò la sentenza di primo grado e rimise la causa davanti ad un’altra sezione della Corte d’Appello di Milano perché fosse applicato l’articolo 5bis della legge n. 359/1992. In corso di causa una perizia tecnica d’ufficio stabilì che il terreno era edificabile e che il suo valore venale era pari a Lire 418.227.111 (pari a 215.996,29 €). Con sentenza del 24 maggio 2000, diventata definitiva in data 20 novembre 2000, la Corte d’Appello di Milano in diversa composizione stimò che l’indennità di espropriazione dovesse corrispondere a lire 209.165.296 (pari a 108.024,86 €), ciò in conformità della legge 359/1992.

In merito alla vicenda, la CEDU, ha ricordato innanzitutto che in caso di espropriazione legittima, avente cioè fini di pubblica utilità, solo un’indennizzo integrale può essere considerato ragionevole (si veda Scordino c. Italia (n° 1) [GC], n° 36813/97 § 96; Stornaiuolo c. Italia, n° 52980/99 §§ 61 e 66, 8 agosto 2006, Mason e altri c. Italia (equa soddisfazione) n° 43663/98 § 37 24 luglio 2007; Gigli Costruzioni S.r.l. c. Italia n° 10557/03 § 43, 1° aprile 2008). Tale principio ha tuttavia un’eccezione. Difatti, nel caso in cui il fine legittimo di pubblica utilità è tale da perseguire misure di riforma economica o di giustizia sociale, allora un rimborso inferiore a quello del valore di mercato può essere giustificato (Ex-Re di Grecia e altri c. Grecia [GC] (equa soddisfazione), n° 25701/94 § 78; James e altri c. Regno Unito, sentenza del 21 febbraio 1986, § 54).

Nel caso di specie, la CEDU ha accertato che l’esproprio subito dai ricorrenti non rivestiva i requisiti eccezionali che avrebbero potuto permettere di giustificare il riconoscimento di un’indennità inferiore a quella del valore di mercato del bene oggetto di causa. Constatando cosi l’inadeguatezza dell’indennità riconosciuta ai ricorrenti, la CEDU ha accertato la violazione lamentata. L’Italia è stata condannata a corrispondere una somma pari alla differenza tra il valore di mercato del terreno al momento dell’esproprio e l’indennizzo ottenuto a livello nazionale.