Regime di detenzione speciale previsto dall’articolo 41bis della legge 354/1975: nel caso ZARA c. Italia, la CEDU accerta la violazione dell’articolo 8 della Convenzione

Strasburgo, 8 febbraio 2009 – Con sentenza del 20 gennaio 2009, nel caso ZARA c. Italia (ricorso n. 24424/03) la CEDU ha accertato la violazione dell’articolo 8 della Convenzione per un illegittimo controllo sulla corrispondenza tra il ricorrente e il suo avvocato e la CEDU.

La vicenda riguarda un ricorrente condannato per omicidio a trenta anni di detenzione che, al 20 giugno 2003, il giorno di presentazione del ricorso alla CEDU, si trovava detenuto a Parma.

Ritenuto molto pericoloso, il Ministero della Giustizia in data 14 luglio 1998 adottò nei confronti del ricorrente il regime speciale di detenzione previsto all’articolo 41bis della legge n. 354 del 26 luglio 1975, regime che venne prorogato sino al 31 dicembre 2002.

Il provvedimento prevedeva una serie di restrizioni al regime di detenzione ordinaria quali la limitazione delle visite dei familiari (al massimo una al mese per un’ora), il divieto di incontrare terze persone, il divieto di telefonare – salvo una chiamata ascoltata e registrata ai componenti della famiglia nel caso la visita mensile non avesse avuto luogo, il divieto di ricevere o inviare somme di danaro oltre un ammontare determinato, il divieto di ricevere più di due pacchi al mese, il divieto di esercitare attività artigianali e il divieto di organizzare attività culturali, ricreative e sportive.

Inoltre, tutta la corrispondenza veniva sottoposta a controllo. In particolare risulta che vennero controllati alcuni documenti inviati alla CEDU anche successivamente al fine del regime speciale di detenzione, ossia nel 2007.

Riguardo al diritto interno rilevante per il caso di specie, la CEDU ha ricordato la sua giurisprudenza, in particolare le sentenze Ospina Vargas c. Italia, n. 40750/98, §§ 23-33, 14 ottobre 2004 e Ganci c. Italia, no41576/98, §§ 19-31, CEDH 2003‑XI. La CEDU ha ricordato inoltre le riforme legislative introdotte con le leggi n. 279 del 23 dicembre 2002 e n. 95 dell’8 aprile 2004, facendo tuttavia notare che la legge n. 95/2004 non ha permesso di rimediare alle violazioni avvenute precedentemente alla sua entrata in vigore. La CEDU ha poi ricordato che la Corte di Cassazione si è discostata dalla sua precedente giurisprudenza, affermando che un detenuto ha interesse ad ottenere una decisione contro il decreto del Ministero della Giustizia che dispone il regime di detenzione speciale ai sensi dell’articolo 41bis, anche quando il periodo di validità di tale provvedimento è scaduto e questo per gli effetti diretti che tale decisione può avere sui decreti emessi successivamente. La CEDU cita la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I, n. 4599 del 26 gennaio 2004, depositata in data 5 febbraio, Zara.

Il ricorrente si è lamentato della violazione degli articoli 3, 6§1, 13 e 8 della Convenzione.

Riguardo all’articolo 3 della Convenzione, il ricorrente affermava che il regime speciale applicatogli ai sensi dell’articolo 41bis per un lungo periodo di tempo fosse un trattamento inumano e degradante. La CEDU, in merito a tale violazione, ha ritenuto che l’applicazione continua di tale regime speciale non abbia superato il limite minimo di gravità richiesto ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione. La CEDU ha pertanto respinto questa parte del ricorso perché manifestamente infondata.

Invocando la violazione dell’articolo 13 della Convenzione, il ricorrente affermava che a livello interno non esisterebbe alcun ricorso effettivo contro le decisioni di proroga del regime di detenzione speciale. La CEDU, dopo aver riqualificato questa doglianza esclusivamente sotto il profilo dell’accesso ad un tribunale, garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, ha constatato che il ricorrente non ha prodotto alcun ricorso avverso i decreti ministeriali di proroga, Ha pertanto ritenuto di respingere questa parte del ricorso perché non sufficientemente provata.

Il ricorrente si lamentava infine che le restrizioni ininterrotte alle modalità di visita dei familiari e alla sua corrispondenza abbiano causato la violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

Quanto alle limitazioni riguardanti le visite familiari, la CEDU, dopo aver ricordato la pericolosità di coloro che appartengono al crimine organizzato, in grado di comunicare con la propria organizzazione anche se detenuti attraverso i propri familiari, ha ritenuto che tali misure non fossero sproporzionate rispetto alla necessità di garantire in una società democratica, ai sensi dell’articolo 8 § 2 della Convenzione, la sicurezza pubblica, la difesa dell’ordine e la prevenzione delle infrazioni penali.

Riguardo invece alle limitazioni alla corrispondenza, e in particolare ai controlli effettuati sulla corrispondenza diretta alla CEDU, quest’ultima ha ritenuto che vi sia stata violazione della normativa nazionale e in particolare dell’articolo 18ter della legge n. 95/2004, che prevede che non vi debba essere alcun controllo della corrispondenza intrattenuta dal detenuto con il proprio avvocato e gli organi internazionali competenti in materia di diritti umani.

Conseguentemente la CEDU ha accertato la violazione dell’articolo 8 della Convenzione. La CEDU ha stabilito inoltre che lo Stato italiano debba rimborsare al ricorrente le spese e competenze legali, quantificate in 1.000 euro.