Procreazione medicalmente assistita: la CEDU decide in Grande Camera il caso S.H. e altri c. Austria

Strasburgo, 7 dicembre 2011 – Con la sentenza del 3 novembre 2011, la CEDU ha deciso in Grande Camera il caso S. H. e altri c. Austria.

La CEDU ha riesaminato il caso, riformando la sentenza del 1° aprile 2010 della Prima Sezione e adottando una linea più prudente. La Prima Sezione aveva infatti censurato la legge austriaca che vieta la fecondazione eterologa in quanto contrastante con il diritto al rispetto della vita familiare (art. 8 CEDU) e con il principio di non discriminazione (art. 14 CEDU).

Il caso riguarda due coppie di cittadini austriaci, affetti da sterilità, che avrebbero voluto fare ricorso a delle tecniche di fecondazione assistita per poter avere un bambino. Una delle due coppie aveva bisogno di una donazione dei gameti maschili e l’altra di una donazione di ovuli, ma la legge austriaca non autorizza queste tecniche di procreazione assistita.

La legge austriaca consente la sola fecondazione eterologa in vivo, nel senso che ammette solo la donazione di gameti maschili, senza la possibilità di fecondazione in vitro, e preclude, in ogni caso, la possibilità di una donazione di gameti femminili.

I ricorrenti avevano ritenuto che il divieto imposto dalla legge austriaca costituisse una violazione del loro diritto al rispetto della vita familiare garantito dall’art. 8 della Convenzione e integrasse gli estremi di un trattamento discriminatorio, vietato dall’art. 14, dal momento che determina una differenziazione di trattamento rispetto alle coppie che intendono ricorrere alla procreazione medicalmente assistita ma che non hanno bisogno della donazione di gameti o di ovuli per la fecondazione in vitro.

Quanto alla violazione dell’articolo 8 della Convenzione, la Prima Sezione della CEDU aveva ritenuto che il divieto di fecondazione eterologa costituisse un’ingerenza sproporzionata nel diritto al rispetto della vita familiare di coppie per le quali la fecondazione in vitro costituisce l’unica possibilità di avere un bambino di cui almeno un partner sia il genitore biologico.

Quanto alla violazione dell’articolo 14 della Convenzione. la CEDU aveva ritenuto che il divieto di fecondazione eterologa costituisse una discriminazione a danno dei ricorrenti rispetto alle coppie che possono procedere alla fecondazione in vitro senza dover ricorrere alla donazione di ovuli o di gameti. Secondo il ragionamento seguito dalla CEDU, l’ampio margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri nella disciplina della procreazione assistita incontra il limite di ragionevolezza delle scelte legislative e di equo bilanciamento tra il rispetto della vita familiare e gli interessi di ordine morale ed etico che si frappongono. Il divieto di fecondazione eterologa trova la sua ratio legis, nella legislazione austriaca, nell’esigenza di evitare il rischio di mercificazione dei gameti e di evitare la creazione di “famiglie atipiche”, per cui una persona può trovarsi ad avere una madre genetica ed una madre biologica.

La CEDU, pur considerando meritevoli di tutela simili interessi, aveva ritenuto eccessivo e ingiustificato il divieto di fecondazione eterologa al fine di tutelare queste esigenze.

Rispetto all’esigenza di evitare il rischio di mercificazione dei gameti, la CEDU aveva affermato che il legislatore avrebbe potuto utilizzare altri rimedi, diversi dal divieto di fecondazione eterologa e non contrastanti con il diritto al rispetto della vita familiare. Rispetto invece all’esigenza di evitare “legami familiari atipici”, la CEDU aveva ritenuto che esistono e sono collettivamente accettate nella società delle relazioni genitoriali diverse da quelle biologiche, come ad esempio l’adozione.

Pertanto l’esigenza di evitare legami familiari diversi da quelli biologici non poteva essere considerata una giustificazione ragionevole del divieto di fecondazione al eterologa.

L’apertura della CEDU, che aveva lasciato sperare per la soluzione favorevole di analoghe questioni che si pongono ad esempio nell’ordinamento italiano e all’interno di altri numerosi Stati del Consiglio d’Europa, trova ora una battuta d’arresto nella recente sentenza della Grande Camera del 3 novembre 2011.

Con tale pronuncia, la CEDU ha riformato completamente la sentenza della Prima Sezione, mostrando un atteggiamento molto più cauto, essendo in gioco questioni morali ed etiche, rispetto alle quali gli Stati del Consiglio d’Europa hanno posizioni variegate. La CEDU ha ritenuto di non dover entrare nel merito della questione, limitandosi ad un controllo formale del corretto esercizio del margine di discrezionalità di cui dispone lo Stato e chiarendo che non rientra nella propria competenza sostituire le proprie valutazioni a quelle delle autorità nazionali in materia di procreazione assistita.

La CEDU, pur considerando che la legislazione austriaca avrebbe potuto trovare una soluzione più equilibrata (si veda il § 106 della sentenza), ha  ritenuto che il divieto di fecondazione eterologa costituisce una legittima ingerenza del potere legislativo nel diritto al rispetto della vita familiare e ha concluso per la non violazione della Convenzione.

In tema di fecondazione assistita, per quanto riguarda l’Italia, l’articolo 4 della legge n. 40 del 2004 prevede il divieto di fecondazione eterologa. Su tale norma è stata chiamata a giudicare la Corte costituzionale, che si dovrà pronunciare sull’eccezione d’incostituzionalità sollevata dal Tribunale di Firenze con ordinanza del 1° settembre 2010.

Infine, sempre in materia di procreazione assistita, è pendente davanti alla CEDU il caso Costa e Pavan c. Italia, un ricorso comunicato al Governo italiano il 27 giugno 2011 dove i ricorrenti, due coniugi italiani, lamentano la violazione dell’art. 8 e 14 della Convenzione in ordine all’articolo 4 della legge n. 40 del 2004.

I ricorrenti sono infatti portatori di una malattia genetica, trasmissibile al feto e lamentano di non poter eseguire lo screening embrionale per la fecondazione in vitro, per evitare la gravidanza nel caso in cui la malattia sia stata trasmessa all’embrione. La legge italiana prevede come unico rimedio l’aborto terapeutico, mentre non è consentito infatti il ricorso alla procreazione assistita in vitro, concessa soltanto alle coppie sterili, e lo screening degli embrioni è ammesso soltanto nel caso il cui il partner di sesso maschile abbia una malattia geneticamente trasmissibile, come l’AIDS (decreto del ministero della salute n. 31639 dell’11 aprile 2008).