Espulsioni verso la Tunisia a rischio tortura, la CEDU comunica all’Italia il caso MANNAI

Strasburgo, 12 agosto 2010 – Il 23 giugno 2010 la CEDU ha comunicato all’Italia il caso MANNAI (ricorso n. 9961/10).

Ricordo che il sig. Mannai, cittadino tunisino, estradato in Italia dall’Austria nel 2005, quello stesso anno veniva condannato in Italia a cinque anni e quattro mesi di detenzione. Inoltre nella sentenza era stato precisato che, dopo aver scontato la pena, il sig. Mannai avrebbe dovuto essere espulso dal territorio italiano conformemente all’art. 235 del codice penale.

Il sig. Mannai scontata la pena, veniva immediatamente trasferito in un centro di trattenimento temporaneo, a Roma, in vista dell’esecuzione dell’espulsione. Tutto ciò avveniva il 20 febbraio 2010.

Il ricorrente si rivolgeva alla CEDU chiedendo l’applicazione di misure cautelari ai sensi dell’articolo 39 del regolamento della CEDU.

Il 19 febbraio 2010, la Presidente della Seconda Sezione della CEDU, accogliendo la richiesta del sig. Mannai, dava indicazioni al Governo italiano di non espellere l’interessato verso la Tunisia fino a nuovo ordine. In particolare la CEDU attirava l’attenzione del Governo sul fatto che quando uno Stato contraente non si conforma ad una misura indicata ai sensi dell’articolo 39 del regolamento, ciò può comportare una violazione dell’articolo 34 della Convenzione.

Nel frattempo il Giudice di Pace di Roma autorizzava l’espulsione del ricorrente verso l’Austria. Ciò avveniva il 24 febbraio 2010.

Ma il 5 marzo 2010 le autorità austriache facevano sapere di non essere disponibili ad accogliere il sig. Mannai sul loro territorio.

A quel punto il Giudice di Pace di Roma, con un provvedimento dell’8 aprile 2010, precisava che la sua precedente decisione del 24 febbraio 2010, autorizzativa dell’espulsione del ricorrente verso l’Austria, doveva considerarsi valida anche in caso di espulsione verso la Tunisia.

Le autorità italiane, in pieno dispregio delle indicazioni della CEDU, eseguivano l’espulsione del sig. Mannai il 1° maggio 2010, rinviandolo verso la Tunisia.

Informata tempestivamente di quanto accaduto il 3 maggio 2010 la CEDU scriveva una lettera alla Rappresentanza permanente dell’Italia a Strasburgo. Il contenuto ribadiva la posizione della CEDU e il fatto che l’Italia si fosse resa responsabile di una grave violazione della Convenzione. Questo il contenuto: “Riferendomi alla precedente corrispondenza riguardante il ricorso citato in oggetto, Vi informo che la Corte ha saputo che il ricorrente è stato espulso verso la Tunisia. L’avv. De Carlo, difensore del ricorrente, ha dichiarato in un messaggio pervenuto via fax alla Cancelleria il 1° maggio 2010 che il suo cliente era stato espulso verso la Tunisia lo stesso giorno alle ore 9 e 20.

Con lettera del 19 febbraio 2010 (in allegato), il Vostro Governo era stato informato che la presidente della seconda sezione della Corte aveva deciso di indicare in applicazione dell’articolo 39 del regolamento della Corte, che era auspicabile, nell’interesse delle parti e del buon svolgimento della procedura davanti alla Corte, di non espellere il ricorrente verso la Tunisia fino a nuovo ordine. Questa misura provvisoria non è mai stata annullata. La Presidente, informata delle nuove circostanze, ha confermato che questa indicazione era sempre in vigore. Invito conseguentemente il Vostro Governo a comunicare alla Cancelleria nel più breve termine possibile tutte le informazioni utili sulla sorte del ricorrente.

Attiro la Vostra attenzione, da  una parte, sulla sentenza Saadi c. Italia del 28 febbraio 2008 nella quale la Grande Camera ha considerato, in un caso simile, che nell’eventualità di esecuzione della decisione di espellere il ricorrente verso la Tunisia, ci sarebbe stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione e, d’altra parte, sui precedenti creati dall’espulsione verso la Tunisia dei sig.ri Ben Khemais (n. 246/07) e Trabelsi (n. 50163/08)”.

Ma quello che mi lascia allibita è la risposta del Governo italiano, pervenuta alla CEDU il 14 maggio 2010. Il Governo italiano, sostenendo che il ricorrente era stato espulso perché ritenuto una minaccia per la sicurezza dello Stato, ha affermato che i provvedimenti emessi dal Giudice di Pace di Roma il 24 febbraio e l’8 aprile 2010, “erano stati adottati dopo l’applicazione dell’articolo 39 e quindi in piena consapevolezza della misura cautelare indicata dalla CEDU”.

La dichiarazione a mio giudizio è sorprendente, perché dimostra come lo Stato italiano sia perfettamente cosciente di agire in aperta violazione della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.

Questo caso d’altra parte non è il primo.

Si ricorda infatti che in tema di espulsioni verso la Tunisia, nel 2008 l’Italia non ha ottemperato alle indicazioni della CEDU nel caso Ben Khemais c. Italia (ricorso n° 246/07) dove l’Italia è stata condannata non solo per la violazione dell’articolo 3 (divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti), ma anche per la violazione dell’articolo 34 (diritto di presentare un ricorso davanti alla CEDU) della Convenzione. L’Italia infatti anche allora non aveva rispettato l’impegno di non ostacolare in nessun modo l’esercizio del diritto di presentare efficacemente ricorso davanti alla CEDU.

Al caso Ben Khemais, ne è seguito purtroppo un altro, sempre nel 2008, quello del ex-imam tunisino, Mourad Trabelsi, condannato in Italia per terrorismo internazionale, espulso nel dicembre 2008 dalle autorità italiane verso la Tunisia, nonostante la CEDU avesse indicato all’Italia di non procedere.

Ricordo poi che il 24 marzo 2009 la CEDU ha deciso altri otto casi contro l’Italia, accogliendo le richieste dei ricorrenti, tutti cittadini tunisini colpiti da decreto di espulsione. La CEDU ha accertato che se i ricorrenti fossero stati rinviati in Tunisia, ci sarebbe stato il rischio concreto che gli stessi potessero essere sottoposti a tortura, in violazione dell’art. 3 della Convenzione. Si tratta dei ricorsi Abdelhedi c. Italie (n° 2638/07), Ben Salah c. Italia (n° 38128/06), Bouyahia c. Italia (n° 46792/06), C.B.Z. c. Italia (n° 44006/06), Darraji c. Italia (n° 11549/05), Hamraoui c. Italia (n° 16201/07), O. c. Italia (n° 37257/06), Soltana c. Italia (n° 37336/06).

In tutti i casi menzionati, la CEDU ha sempre richiamato il precedente giurisprudenziale Saadi c. Italia, [GC], n. 37201/06, sentenza del 28 febbraio 2008, dove vengono descritte le condizioni reali esistenti in Tunisia, e dove si da il quadro della compressione dei diritti fondamentali in questo Paese. Risulta che le persone sospettate di terrorismo rinviate in Tunisia rischino concretamente di essere torturate o di essere sottoposte a pene e trattamenti inumani e degradanti, in piena violazione dell’articolo 3 della Convenzione.

Sulle ripetute violazioni ad opera dell’Italia sono intervenute autorità ed organismi internazionali.

Il Segretario Generale del Consiglio d’Europa ha stigmatizzato la condotta dell’Italia in due occasioni, il 17 dicembre 2008, sul caso Trabelsi e il 20 maggio 2010 proprio sul caso Mannai.

Nell’agosto 2009 il presidente della Commissione Affari Legali e Diritti Umani dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa riguardo al caso Alì Toumi hanno affermato che “È assolutamente inammissibile che uno Stato ignori le misure provvisorie vincolanti richieste dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). È vergognoso che una democrazia adulta come l’Italia abbia, la scorsa domenica, rinviato Ali Toumi in Tunisia, un caso in cui esiste un pericolo imminente di danno irreparabile per il richiedente”.

Infine Amnesty International nel suo rapporto annuale 2010 dipinge un quadro allarmante in tema di migranti, facendo specifico riferimento ai casi trattati dalla CEDU e riguardanti cittadini tunisini ritenuti terroristi. Nel rapporto si legge infatti: “Nonostante le raccomandazioni degli organismi internazionali, l’Italia ha continuato a dare attuazione alla normativa che prevede una procedura accelerata di espulsione per presunti terroristi (Legge 155/05, c.d. Legge Pisanu). Sulla base di questa e di altre norme, anche nel 2009 le autorità italiane hanno rimpatriato in Tunisia, paese con una lunga e ben documentata storia di tortura e abusi sui prigionieri, persone per le quali la Corte europea dei diritti umani aveva richiesto la sospensione del rimpatrio, in vista dei rischi di tortura e maltrattamenti: tra queste, Ali Ben Sassi Toumi, espulso il 2 agosto 2009 nonostante tre distinte decisioni contrarie della Corte, sottoposto a detenzione in incommunicado per otto giorni dopo il suo arrivo in Tunisia. Il 24 febbraio 2009, la stessa Corte ha condannato l’Italia per avere rimpatriato Sami Essid Ben Khemais in Tunisia nel 2008, a dispetto di una sua decisione di segno opposto e per essersi affidata alle cosiddette “assicurazioni diplomatiche” da parte della Tunisia secondo le quali Ben Khemais non sarebbe stato torturato. Analoga decisione è stata adottata il 13 aprile 2010, relativamente all’espulsione di Mourad Trabelsi, a sua volta avvenuta nel 2008 in spregio di una decisione opposta della Corte.”