Strasburgo, 8 maggio 2009 – Il 2 aprile 2009, la CEDU ha comunicato al Governo italiano il caso TRABELSI c. Italia (n. 50163/08) (l’esposizione dei fatti è disponibile in francese). Il ricorso è stato presentato in data 20 ottobre 2008 e riguarda il caso di Mourad Trabelsi, ex-imam tunisino, condannato in Italia per terrorismo internazionale, espulso il 13 dicembre 2008 dalle autorità italiane verso la Tunisia, nonostante la CEDU avesse indicato all’Italia di non procedere.
Questo caso ha purtoppo un precedente.
Difatti l’Italia non aveva ottemperato alle indicazioni della CEDU anche nel caso Ben Khemais c. Italia (ricorso n° 246/07). In questo caso l’Italia è stata condannata non solo per la violazione dell’articolo 3 (divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti), ma anche per la violazione dell’articolo 34 (diritto di presentare un ricorso davanti alla CEDU) della Convenzione. L’Italia infatti non aveva rispettato l’impegno di non ostacolare in nessun modo l’esercizio del diritto di presentare efficacemente ricorso davanti alla CEDU.
Per il caso Trabelsi, ricordo che il ricorrente, arrestato nel 2003, era stato successivamente condannato a sette anni di reclusione per terrorismo internazionale. Rimesso in libertà dopo aver scontato la pena, aveva fatto ricorso alla CEDU contro l’espulsione dall’Italia perché in Tunisia avrebbe rischiato di essere incarcerato e sottoposto a tortura, pendendo su di lui una condanna per terrorismo. Nonostante ciò, il Ministro dell’Interno Roberto Maroni ha dichiarato a inizio dicembre di aver firmato un decreto di espulsione nei confronti di Trabelsi. Il 13 dicembre 2008 Trabelsi è stato condotto all’aeroporto di Milano e rimpatriato in Tunisia dove ci sono seri rischi di violazione della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.
In merito a questa vicenda sono d’obbligo le seguenti considerazioni.
Ricordo innanzitutto che una persona, pur essendo ritenuta responsabile di atti terroristici di estrema gravità, non deve mai essere privata dei suoi diritti fondamentali. Se ciò avvenisse, la società democratica e i suoi principi fondanti verrebbero minacciati. Questo principio è stato sancito sia dal Consiglio d’Europa in una serie di documenti internazionali elaborati a partire dagli attacchi dell’11 settembre 2001 che dalla CEDU nella sua giurisprudenza.
In particolare la CEDU ha recentemente ribadito questo concetto nel caso Saadi c. Italia, [GC], n. 37201/06, sentenza del 28 febbraio 2008. Leggendo questa pronuncia si comprendono quali siano le condizioni reali esistenti in Tunisia, perché i diritti fondamentali sono compressi a tal punto da far temere che un principio fondamentale come il divieto assoluto di tortura o di trattamenti e pene inumani o degradanti, garantito dall’art. 3 della Convenzione, possa essere violato in quel Paese.
Ricordo inoltre che quando la CEDU interviene chiedendo che,ai sensi dell’art. 39 del suo Regolamento, si adottino determinate misure provvisorie e quando, come nel caso di specie, lo Stato non vi ottempera, c’è il concreto rischio di violazione dell’articolo 34 della Convenzione. Questo principio è stato ribadito nel caso Mamatkoulov e Askarov c. Turchia, [GC], nn. 46827/99 e 46951/99, §§ 39-53, CEDH 2005-I.
Non è un caso infatti che nella comunicazione del caso Trabelsi, la CEDU abbia formulato la seguente domanda:
“Tenuto conto dei principi sanciti dalla Corte nella sentenza Mamatkulov e Askarov c. Turchia ([GC], nn. 46827/99 §§ 128-129 e punto 5 del dispositivo, CEDU 2005-I), l’inosservanza della misura provvisoria indicata il 18 novembre 2008 dalla Presidente della Seconda Sezione della CEDU e l’esecuzione dell’espulsione del ricorrente verso la Tunisia, hanno attentato al diritto di ricorso individuale dell’interessato, così come garantito dall’articolo 34 della Convenzione?”
La seconda domanda è invece volta ad accertare la sussistenza della violazione dell’art. 3 della Convenzione. La CEDU chiede infatti se:
“Rispetto alle conclusioni a cui è giunta la Corte nella sentenza Saadi c. Italia ([GC] n. 37201/06, 28 febbraio 2008), l’esecuzione dell’espulsione ha violato gli articoli 3 e 8 della Convenzione?”
Molto probabilmente la CEDU non si discosterà dalla giurisprudenza elaborata sino ad oggi e condannerà l’Italia per la violazione degli artt. 34 e 3 della Convenzione.
Riguardo all’art. 8 invece, sarà particolarmente interessante vedere come si pronuncerà la CEDU in questo caso, vista la recente sentenza del 7 aprile 2009 nel caso CHERIF e altri c. Italia (n. 1860/07).