Esproprio formale: la CEDU condanna l’Italia nel caso CIGNOLI e altri c. Italia

Strasburgo, 12 dicembre 2008 – Con sentenza del 9 dicembre 2008, la seconda sezione della CEDU si è pronunciata in un caso di esproprio, CIGNOLI e altri c. Italia (ricorso n. 68309/01), accertando la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n° 1. Lo Stato italiano è stato condannato al pagamento della somma di 267.000 € per danni materiali, oltre alle spese e competenze di procedura, liquidate queste in 10.000 €.

La vicenda si può così riassumere.

Nel 1972 i ricorrenti furono espropriati di alcuni terreni edificabili di loro proprietà. Nel 1980 la pubblica autorità occupò tali terreni e, ai sensi della legge n. 385/1980, quantificò l’acconto sull’indennità di esproprio, a sua volta determinata ai sensi della legge 865/1971. La somma offerta, pari a Lire 16.161.160 era stata calcolata come se il terreno oggetto di esproprio fosse stato un terreno agricolo, non esistendo all’epoca una legge che consentisse di quantificare l’indennità per i terreni edificabili. I ricorrenti rifiutarono l’offerta e nel 1983 i terreni furono espropriati dalla Regione.

Nel frattempo, con sentenza n. 223/1983 la Corte Costituzionale dichiarava incostituzionale la legge n. 385/1980 perché subordinava la quantificazione dell’indennità all’adozione di una legge futura.

Nel 1986, il Comune fissò definitivamente l’indennità di esproprio in Lire 12.000 al m2 e ciò facendo riferimento ai criteri indicati dalla legge n. 2359/1865, ritornata applicabile a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 223/1983. I ricorrenti adirono la Corte d’Appello di Milano contestando i criteri di quantificazione dell’indennità di esproprio. Secondo gli stessi, il valore doveva essere quantificato in base al valore di mercato dei terreni in causa al momento dell’esproprio.

Dopo aver disposto una perizia tecnica, la Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 10 dicembre 1991, accertando la natura edificabile dei terreni oggetto di causa, individuava l’indennità di esproprio in Lire 389.128.000, somma corrispondente al valore venale dei terreni al momento dell’esproprio.

Il Comune ricorse in Cassazione chiedendo peraltro l’applicazione della legge n. 359/1992, entrata nel frattempo in vigore. Con sentenza del 19 settembre 1995, la Corte di Cassazione cassò la sentenza di primo grado e rimise la causa davanti ad un’altra sezione della Corte d’Appello di Milano perché fosse applicato l’articolo 5bis della legge n. 359/1992. In corso di causa una perizia tecnica d’ufficio stabilì che il terreno era edificabile e che il suo valore venale era pari a Lire 418.227.111 (pari a 215.996,29 €). Con sentenza del 24 maggio 2000, diventata definitiva in data 20 novembre 2000, la Corte d’Appello di Milano in diversa composizione stimò che l’indennità di espropriazione dovesse corrispondere a lire 209.165.296 (pari a 108.024,86 €), ciò in conformità della legge 359/1992.

In merito alla vicenda, la CEDU, ha ricordato innanzitutto che in caso di espropriazione legittima, avente cioè fini di pubblica utilità, solo un’indennizzo integrale può essere considerato ragionevole (si veda Scordino c. Italia (n° 1) [GC], n° 36813/97 § 96; Stornaiuolo c. Italia, n° 52980/99 §§ 61 e 66, 8 agosto 2006, Mason e altri c. Italia (equa soddisfazione) n° 43663/98 § 37 24 luglio 2007; Gigli Costruzioni S.r.l. c. Italia n° 10557/03 § 43, 1° aprile 2008). Tale principio ha tuttavia un’eccezione. Difatti, nel caso in cui il fine legittimo di pubblica utilità è tale da perseguire misure di riforma economica o di giustizia sociale, allora un rimborso inferiore a quello del valore di mercato può essere giustificato (Ex-Re di Grecia e altri c. Grecia [GC] (equa soddisfazione), n° 25701/94 § 78; James e altri c. Regno Unito, sentenza del 21 febbraio 1986, § 54).

Nel caso di specie, la CEDU ha accertato che l’esproprio subito dai ricorrenti non rivestiva i requisiti eccezionali che avrebbero potuto permettere di giustificare il riconoscimento di un’indennità inferiore a quella del valore di mercato del bene oggetto di causa. Constatando cosi l’inadeguatezza dell’indennità riconosciuta ai ricorrenti, la CEDU ha accertato la violazione lamentata. L’Italia è stata condannata a corrispondere una somma pari alla differenza tra il valore di mercato del terreno al momento dell’esproprio e l’indennizzo ottenuto a livello nazionale.