Strasburgo, 31 marzo 2009 – Con la sentenza di oggi la CEDU ha deciso nel caso SIMALDONE c. Italia (n° 22644/03), dove il ricorrente si lamenta, oltre che dell’esiguità della somma percepita a livello nazionale per l’eccessiva durata del procedimento interno, anche dell’eccessiva durata della procedura « Pinto ».
La CEDU, ripercorrendo i principi elaborati dalla sua giurisprudenza in materia, fornisce nuove chiavi di lettura, affrontando in maniera approfondita e completa la situazione dell’eccessivo ritardo nell’esecuzione delle decisioni « Pinto ». Con questa sentenza, la CEDU lancia un monito all’Italia, esortandola in particolare a concentrarsi sul ritardo nei pagamenti dei risarcimenti « Pinto ».
La CEDU, tra l’altro, ricorda che è inopportuno chiedere ad una persona, la quale abbia ottenuto un credito esigile nei confronti dello Stato, di iniziare un procedimento d’esecuzione forzata per ottenere soddisfazione.
La CEDU ribatte inoltre ad un’obiezione sollevata dal Governo italiano circa l’obbligo di promuovere una procedura “Pinto” per lamentarsi dell’eccessiva durata dell’esecuzione della decisione “Pinto”.
Afferma infatti la CEDU che se cosi fosse, il ricorrente si vedrebbe imprigionato in un circolo vizioso in cui le disfunzioni del rimedio “Pinto” lo obbligherebbero ad iniziarne un’altro. Questo sarebbe irragionevole e costituirebbe un ostacolo sproporzionato all’esercizio efficace del diritto ad un ricorso, cosi come stabilito dall’art. 34 della Convenzione (vedasi al § 44 della sentenza Simaldone).
Per quanto riguarda il ritardo nell’esecuzione della decisione « Pinto », che scatta a partire dal decorso del termine di sei mesi dalla data di deposito di tale pronuncia, la CEDU l’ha analizzato come ingerenza nel diritto al rispetto dei beni del ricorrente (art. 1 del Protocollo n° 1), riconoscendone la violazione.
Riguardo alla violazione dell’art. 13 della Convenzione, sollevata dal ricorrente per l’insufficienza e il ritardo nel pagamento dell’indennizzo « Pinto », la CEDU ha dichiarato ricevibile la pretesa solo per ciò che riguarda il ritardo nel pagamento. La CEDU ha affermato quindi che il ritardo riscontrato nel caso di specie, pari a dodici mesi, non poteva considerarsi, allo stato, sufficientemente importante per poter permettere di rimettere in discussione l’effettività del rimedio « Pinto ». Pertanto anche questa parte del ricorso è stata respinta nel merito.
La CEDU ha condannato lo Stato italiano a risarcire al ricorrente le somme di 3.950 euro per danni morali e di 1.000 euro per spese e competenze legali.