Strasburgo 5 dicembre 2008 – Il 17 novembre 2008, la CEDU ha comunicato al Governo italiano il caso Udorovic.
Si tratta di un caso interessante, che mette in discussione l’equità della procedura contro gli atti discriminatori prevista dall’articolo 44 del decreto legislativo n. 286/1998.
Tale disposizione prevede che: “Quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, il giudice può, su istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione.”
Il ricorso è presentato da un cittadino italiano appartenente alla comunità zingara dei Sinti che nel 1995 resideva in un campo nomadi di Roma, autorizzato dal Comune. All’epoca la polizia municipale effettuò dei controlli e successivamente l’autorità municipale ordinò lo sgombero del campo, sostenendo che lo stesso non era fornito di acqua potabile e non era dotato di fognature. Contro i provvedimenti del Comune, il ricorrente promosse due procedure, una davanti all’autorità giudiziaria amministrativa e l’altra davanti all’autorità giudiziaria ordinaria.
Un primo ricorso fu infatti presentato al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (“T.A.R.”), che in data 19 gennaio 2000 accoglieva l’istanza di sospensiva del provvedimento impugnato. Il Comune di Roma fece appello al Consiglio di Stato, che in data 20 marzo 2000 respinse l’opposizione, confermando la decisione del T.A.R.
Il ricorrente iniziò anche una procedura davanti al Tribunale civile di Roma, ai sensi degli articoli 43 e 44 del decreto legislativo n. 286 del 1998. Secondo le disposizioni di legge citate, la procedura si svolse in camera di consiglio. Con ordinanza del 12 marzo 2001, il Tribunale respinse il ricorso affermando che i provvedimenti impugnati non erano discriminatori dato che avevano lo scopo di garantire la salute pubblica dei cittadini residenti vicino al campo nonché quella degli occupanti dello campo stesso. Il ricorrente fece opposizione, presentando reclamo alla Corte d’Appello di Roma. In particolare il ricorrente lamentava anche l’illegittimità di una decisione comunale del 1996. Anche tale procedura si tenne in camera di consiglio, in conformità di legge. La Corte d’Appello di Roma respinse il reclamo e inoltre, non si pronunciò sulla legittimità della decisione del 1996.
Il ricorrente si lamenta dell’iniquità della procedura svoltasi davanti all’autorità giudiziaria ordinaria dato che il processo si è svolto in camera di consiglio. Inoltre allega che la Corte d’Appello non ha statuito su una parte della sua domanda. Afferma che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Le domande poste al Governo italiano sono interessanti e preannunciano, a mio avviso, un probabile accertamento della violazione dell’articolo 6 § 1.