Strasburgo, 23 maggio 2016 – Con la sentenza Cincimino c. Italia del 28 aprile 2016, la C.E.D.U. ha accertato la violazione dell’articolo 8 della CEDU (diritto al rispetto della vita familiare), a causa del mancato riesame delle condizioni psicologiche della ricorrente ai fini della valutazione delle sua idoneità genitoriale nell’ambito di una procedura volta a stabilire la custodia e le modalità di esercizio del diritto di visita alla figlia.
Nel caso Cincimino la ricorrente aveva lamentato che le autorità nazionali avevano dapprima diradato il suo diritto di visita alla figlia, che all’epoca aveva solo due anni ed era stata affidata al padre, e in seguito avevano negato ogni contatto con la figlia, avendole tolto la potestà genitoriale. Per tali provvedimenti, la ricorrente non vedeva la figlia da oltre dieci anni. Le autorità nazionali avevano deciso in base a due perizie tecniche, una del 2003 ed una del 2006. I Giudici di Strasburgo hanno ritenuto che vi sia stata violazione del diritto al rispetto della vita familiare per il mancato riesame delle condizioni psicologiche della ricorrente, nonostante ciò fosse stato richiesto a più riprese dall’interessata.
Intervenendo nel caso Cincimino, la C.E.D.U. ha ribadito i principi generali già sviluppati in altri precedenti (si vedano i casi Pini e altri c. Romania, sentenza del 22 giugno 2004, § 175; e K.A.B. c. Spagna, sentenza del 10 aprile 2012, § 103.), secondo cui gli Stati contraenti devono garantire il superiore interesse del minore e la convivenza tra genitori e figli, elementi essenziali del diritto alla vita familiare. La C.E.D.U. ha quindi riaffermato che gli Stati contraenti hanno specifici obblighi positivi, ovvero quello di favorire i legami familiari, soprattutto tra figli e genitori non conviventi e quello di attivarsi affinché genitori e figli possano ricongiungersi. La C.E.D.U. ha evidenziato inoltre che sebbene l’articolo 8 della Convenzione non contenga esplicitamente indicazioni procedurali, i procedimenti dove vengono emessi provvedimenti che ingeriscono nel godimento del diritto al rispetto della vita familiare devono essere equi e finalizzati alla protezione di tutti gli interessi in gioco.
Nel caso di specie, la C.E.D.U. ha accertato che la ricorrente non era stata coinvolta nel processo decisionale adeguatamente poiché le misure adottate in materia di diritto di visita avevano inciso in modo sproporzionato e arbitrario, avendo interrotto ogni tipo di rapporto con la figlia.
La violazione è stata ritenuta di particolare gravità, anche in considerazione del danno morale riconosciuto alla ricorrente, pari a 32.000 euro.
Infine, citando una specifica giurisprudenza in materia di esecuzione di sentenze emesse in materia di diritto di visita (si vedano, mutatis mutandis, Kuppinger c. Germania, sentenza del 15 gennaio 2015, §§ 102 e 137; e Bondavalli c. Italia, sentenza del 17 novembre 2015 §§ 83-91), la C.E.D.U. ha dato indicazioni specifiche al Governo italiano, invitando le autorità interne a riesaminare in breve tempo la richiesta della ricorrente di essere reintegrata nella potestà genitoriale, tenendo conto della sua situazione attuale, di quella del padre e tenendo presente l’interesse superiore della minore.