Strasburgo, 18 febbraio 2016 – Con comunicazione del 16 dicembre 2016, la Corte europea dei diritti dell’uomo (d’ora in poi C.E.D.U.) ha informato il Governo italiano che la signora Amelia CASARIN ha presentato ricorso il 24 dicembre 2012 (n. 4893/13), eccependo la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (diritto alla tutela dei propri beni), l’articolo 6 della Convenzione (diritto ad un equo processo) e il combinato disposto degli articoli 6 e 14 della Convenzione (divieto di discriminazione).
La ricorrente, insegnante trasferita attraverso il meccanismo della c.d. intermobilità compartimentale di mobilità dal Ministero dell’Istruzione all’I.N.P.S., si è vista richiedere la restituzione delle somme ricevute con assegno ad personam, avendo ricevuto nel frattempo un aumento di stipendio.
La vicenda è la seguente.
La ricorrente, tra il 1983 e il 1998, ha lavorato come insegnante alle dipendenze del Ministero dell’Istruzione.
Nel 1998, il Ministero dell’Istruzione, in accordo con il Ministero della Funzione pubblica e con l’I.N.P.S. aprì una procedura intercompartimentale di mobilità, avendo l’I.N.P.S dato la sua disponibilità ad assorbire circa 1.500 insegnanti in esubero.
La procedura di mobilità era stata regolata dal Ministero dell’Istruzione con ordinanza n. 217 del 1998, con decreto n. 135 del 1998 e con contratto collettivo nazionale decentralizzato dell’11 marzo 1998.
In particolare, l’ordinanza ministeriale aveva stabilito che ogni candidato trasferito sarebbe stato “inquadrato nella VII funzione I.N.P.S., conservando l’anzianità acquisita precedentemente e il trattamento salariale di cui beneficiava alla data di trasferimento, se più favorevole”.
La domanda della ricorrente fu accettata e quest’ultima fu trasferita all’I.N.P.S. Tra settembre 1998 e febbraio 2004, la ricorrente ricevette un assegno personale detto di “garanzia salariale ad personam”, uguale alla differenza tra il salario percepito mentre lavorava alle dipendenze del Ministero dell’Istruzione e quello che percepiva presso l’I.N.P.S. A partire dal marzo 2004, in seguito all’aumento salariale applicato nel frattempo, la ricorrente perse il beneficio dell’assegno di garanzia salariale.
Nell’ottobre 2004, la ricorrente fu colpita da una grave malattia invalidante. Poco tempo dopo, il medico del lavoro certificò una totale incapacità lavorativa, aprendo il diritto alla pensione anticipata. La ricorrente andò in pensione il 30 dicembre 2005.
Contestando l’interruzione dei versamenti dell’assegno di garanzia salariale, la ricorrente presentò un ricorso davanti al Tribunale di Pinerolo.
Il 24 luglio 2007, il Tribunale rigettò la domanda della ricorrente. In particolare il Tribunale ritenne che il sistema nazionale non prevedeva il diritto alla conservazione dell’assegno ad personam, riconosciuto agli insegnanti nell’ambito della procedura intercompartimentale di mobilità, quando questi ultimi beneficiano di un aumento salariale. Il giudice nazionale ritenne che il principio di assorbimento era applicabile al caso di specie. La ricorrente non appellò la sentenza.
Il 13 maggio 2008 la Direzione centrale dello “sviluppo e gestione delle risorse umane” dell’I.N.P.S. informò la ricorrente della decisione di chiedere la restituzione delle somme a lei corrisposte a titolo di integrazione salariale personale per il periodo 1998-2004, e ciò in base alla nuova giurisprudenza della Corte di Cassazione sviluppatasi in materia. La somma richiesta era pari a 14.727,45 euro.
Il 9 giugno 2008 la ricorrente inviò una lettera all’I.N.P.S. contestando la legittimità della richiesta e invitando l’Istituto a non procedere con l’azione di ripetizione dell’indebito. Il 17 giugno 2008 l’I.N.P.S. confermò la sua decisione e indicò che l’azione sarebbe iniziata nel luglio 2008.
La ricorrente presentò un ricorso d’urgenza ai sensi dell’articolo 700 c.p.c. al fine di ottenere la sospensione provvisoria dell’azione di ripetizione, ma il Tribunale respinse la richiesta ritenendo che non vi fosse il periculum in mora.
Il 18 settembre 2008, la ricorrente presentò una domanda di conciliazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro.
Non essendovi stata la convocazione da parte della Commissione di Conciliazione, il 14 gennaio 2009 la ricorrente adì il Tribunale di Pinerolo.
Con sentenza del 27 aprile 2009, il Tribunale accolse il ricorso. Richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione sull’applicabilità del principio di assorbimento all’assegno personale di garanzia salariale, il Tribunale dichiarò illegittima l’azione di ripetizione promossa dall’I.N.P.S. sulle somme versate tra il 1998 e il 2004.
Le modalità di versamento delle somme contestate avevano creato nella ricorrente la legittima fiducia sulla natura dei versamenti. Il Tribunale rilevò, da una parte, che per basare l’azione di ripetizione dell’indebito, l’I.N.P.S. aveva fatto riferimento ad un messaggio elettronico presuntivamente inviato nel 2004 alla ricorrente e a tutti gli insegnanti che avevano partecipato alla procedura di mobilità. Tuttavia, il Tribunale rilevò che l’I.N.P.S. non aveva prodotto la copia di tale mail. D’altra parte, il Tribunale ritenne che la nuova giurisprudenza della Corte di Cassazione non poteva incidere sui diritti acquisiti, tenuto conto in particolare della buona fede della ricorrente.
L’I.N.P.S. propose appello davanti alla Corte di Appello di Torino. Il 20 luglio 2010, la Corte di Appello riformò la sentenza di primo grado. Ritenne che, in materia di azione di ripetizione dell’indebito su somme versate a titolo di stipendio, una volta provata l’assenza del fondamento legale, la ripetizione non poteva essere esclusa in ragione del legittimo affidamento e della buona fede del dipendente. Inoltre, la Corte di Appello ritenne che la ricorrente non poteva vantare un diritto acquisito sulle somme ricevute a titolo di garanzia salariale, tenuto conto dell’evoluzione giurisprudenziale sviluppatasi in materia.
Con ordinanza del 26 giugno 2012, la Corte di Cassazione respinse il ricorso presentato dalla ricorrente basandosi sulla propria giurisprudenza in materia che stabilisce che la buona fede di un dipendente della pubblica amministrazione non costituisce un ostacolo alla restituzione delle somme dallo stesso indebitamente percepite.
Nel caso di specie, la C.E.D.U. ha ora chiesto al Governo italiano di rispondere alle seguenti domande:
- Se vi è stata una lesione del diritto della ricorrente al rispetto dei suoi beni, così come previsto dall’articolo 1 del Protocollo n. 1; se la ricorrente è stata privata dei suoi beni secondo le condizioni stabilite dalla legge, così come previsto dall’articolo 1 del Protocollo n. 1; se in particolare, l’ingerenza ha sottoposto la ricorrente ad un carico eccessivo.
- Se la ricorrente è stata vittima, nell’esercizio dei diritti garantiti dalla Convenzione, di una discriminazione contraria all’articolo 14 della Convenzione combinato con l’articolo 1 del Protocollo n. 1.
Una volta che il Governo italiano avrà risposto per iscritto ed entro il termine fissato alle domande indicate, la Cancelleria della C.E.D.U. chiederà alla ricorrente di presentare le proprie osservazioni in risposta e di quantificare i danni eventualmente subiti, ciò ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione.
In seguito, una volta che le osservazioni della ricorrente saranno trasmesse al Governo, la C.E.D.U. potrà decidere il caso.