Strasburgo, 30 ottobre 2010 – Sul n° 106 di giugno 2010 della rivista La Sapienza, la rassegna dell’Ordine degli Avvocati di Torino, è apparso un mio articolo sul segreto professionale dell’avvocato e la giurisprudenza della CEDU.
Qui di seguito il testo integrale dell’articolo.
Il segreto professionale dell’avvocato e le ispezioni presso il suo studio professionale e il suo domicilio, quali garanzie secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo?
L’obbligo del segreto professionale imposto all’avvocato ha una duplice funzione: da una parte garantisce il cliente, che può liberamente confidare al proprio legale comunicazioni riservate e segrete avendo la sicurezza che queste non potranno mai essere rivelate, dall’altra, permette all’avvocato di esercitare al meglio la sua duplice funzione di difensore e di soggetto attivo nell’amministrazione della giustizia.
Sulla garanzia della riservatezza si fonda dunque il rapporto fiduciario tra cliente ed avvocato e il segreto professionale gode di una speciale protezione, che trova immediata applicazione nel caso in cui lo studio o il domicilio dell’avvocato vengano sottoposti ad un’ispezione da parte dello Stato.
Sul tema la Corte europea dei diritti dell’Uomo (qui di seguito “la Corte”) nel corso degli anni ha elaborato una giurisprudenza che permette di delineare un quadro esaustivo sul tipo di tutela che gli Stati devono riconoscere all’avvocato nel caso in cui avvenga una perquisizione o un sequestro presso il suo studio o il suo domicilio.
Le pronunce più interessanti chiamano in causa principalmente l’articolo 8 della Convenzione, che garantisce il rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza, imponendo regole precise affinché l’ingerenza statuale su tali diritti non sia arbitraria. La Corte si è pronunciata anche sull’equità della procedura e sulle garanzie che devono essere accordate in caso di controllo giudiziario sull’attività di ispezione e perquisizione. In questo caso la Corte ha fatto riferimento all’articolo 6 della Convenzione.
I casi che ho ritenuto rilevanti per questo mio breve intervento sono Niemietz c. Germania (ricorso n. 13710/88, sentenza del 16 dicembre 1992), André e altro c. Francia (ricorso n. 18603/03, sentenza del 24 luglio 2008) e Xavier Da Silveira c. Francia (ricorso n. 43757/05, sentenza del 21 gennaio 2010). In tutti e tre i casi i ricorrenti sono avvocati e la Corte si è confrontata con ispezioni e perquisizioni presso il loro studio o la loro abitazione.
La Corte, pur pronunciandosi “caso per caso”, ha sviluppato dei principi generali che riconoscono particolari garanzie all’avvocato sottoposto a perquisizione, come la presenza del Presidente dell’Ordine degli avvocati competente nel corso delle operazioni (vedasi in Niemietz c. Germania e André e altro c. Francia), fornendo inoltre le motivazioni di tale accresciuta tutela. Secondo la Corte le maggiori garanzie riconosciute all’avvocato sono da considerarsi come un corollario per tutelare il diritto del cliente a non contribuire alla propria incriminazione. Difatti secondo la Corte l’autorità pubblica, nella ricerca degli elementi di prova, non può avvalersi di mezzi coercitivi o di pressione tali da andare contro la volontà dell’accusato (vedasi in André e altro c. Francia, § 41). Da qui la maggior tutela su tutta la documentazione e le informazioni riservate e segrete che l’avvocato riceve dal proprio assistito.
Per quanto riguarda l’articolo 8 della Convenzione, nel caso Niemietz c. Germania, la Corte ha affermato che interpretare i concetti di “vita privata” e “domicilio”, includendo in essi i locali o le attività professionali, risponde allo scopo essenziale dell’articolo 8 che è quello di premunire l’individuo contro le ingerenze arbitrarie del potere pubblico.
La Corte ha quindi incluso nel concetto di vita privata l’attività professionale dell’avvocato, affermando che sarebbe troppo restrittivo limitare questo concetto ad un “cerchio intimo” dove ciascuno può condurre la propria vita personale a suo modo scartando invece il mondo esterno. Il rispetto della vita privata deve includere anche il diritto per l’individuo di legare e sviluppare delle relazioni con i propri simili.
In quest’ottica, la Corte ha esaminato l’attività dei professionisti in generale, che proprio nell’esercizio della loro attività lavorativa hanno occasione di costruire una fitta rete di rapporti interpersonali e quindi di avere contatti con il mondo esterno. Per quanto riguarda poi gli avvocati, la Corte non ha avuto difficoltà a riconoscere che chi esercita questa professione può arrivare a costituire una serie di relazioni talmente complesse da non riuscire più a distinguere tra vita privata e vita professionale. La Corte ha affermato inoltre che anche la nozione di “domicilio” debba estendersi allo studio di un avvocato.
La Corte, sempre in merito all’articolo 8 della Convenzione, sia nel caso André e altro c. Francia che nel caso Xavier Da Silveira c. Francia, dopo aver verificato l’esistenza di una base legale e di uno scopo legittimo, è passata ad esaminare se l’ingerenza dello Stato potesse ritenersi necessaria in uno Stato democratico e pertanto legittima.
Nel caso André e altro c. Francia, dove nel corso di un accertamento fiscale disposto nei confronti di una società, era stata effettuata una perquisizione anche presso lo studio dei suoi legali, la Corte ha affermato che quando il diritto interno prevede la possibilità di perquisizioni o di visite domiciliari presso lo studio di un avvocato, queste devono imperativamente essere svolte nel rispetto di garanzie specifiche.
Nel caso di specie la visita domiciliare era stata accompagnata da una garanzia speciale di procedura dato che il Presidente dell’Ordine degli avvocati competente era presente durante l’ispezione e aveva potuto esprimere le proprie contestazioni a salvaguardia del segreto professionale.
Tuttavia la Corte ha rilevato che tali contestazioni, unitamente al fatto che il giudice competente non fosse presente durante l’ispezione, non erano riuscite ad impedire l’esame di tutti i documenti presenti nello studio, né il loro sequestro. Inoltre i documenti sequestrati, tra cui alcuni manoscritti dagli stessi avvocati ricorrenti, erano stati utilizzati come prove per stabilire la frode ipotizzata a carico della società assistita dai legali, i quali erano peraltro assolutamente estranei all’attività illecita che si sospettava essere stata commessa.
Secondo la Corte con le ispezioni e i sequestri operati all’interno dello studio degli avvocati ricorrenti, l’autorità pubblica aveva acquisito una serie di elementi di prova poi utilizzati per confermare i sospetti circa la frode che la società cliente aveva commesso. Tuttavia l’obiettivo a cui tendeva l’autorità pubblica era da considerarsi sproporzionato. Da qui la dichiarazione dell’intervenuta violazione dell’art. 8 della Convenzione.
Recentemente la Corte ha esaminato il caso Xavier da Silveira c. Francia, affrontando il caso di un avvocato portoghese con studio e domicilio anche in Francia, ma non iscritto ad alcuno Ordine francese, che aveva subito una perquisizione presso il proprio studio e la propria abitazione senza l’assistenza del Presidente dell’Ordine degli avvocati e senza aver poi avuto la possibilità di opporsi efficacemente all’avvenuto sequestro.
La Corte ha esaminato il caso esclusivamente sotto il profilo dell’articolo 8, pur essendo stati invocati anche gli articoli 6, 13 e 14 della Convenzione.
Anche in questo caso la Corte ha esaminato la necessarietà dell’ingerenza da parte dell’autorità pubblica, arrivando ad affermare che le particolari garanzie riconosciute al rapporto fiduciario esistente tra cliente e avvocato devono valere anche per gli avvocati residenti in uno degli Stati membri dell’Unione europea che vogliano esercitare a titolo permanente od occasionale, con il loro titolo di origine, la loro attività professionale in Francia.
Riguardo invece all’articolo 6 § 1 della Convenzione, nel caso Andrè e altro c. Francia, i ricorrenti avevano eccepito che la procedura di ispezione condotta nel corso dell’accertamento tributario e il successivo sequestro dei documenti, effettuati presso il loro studio, avevano violato il segreto professionale e il rispetto del diritto di difesa.
Richiamando un caso simile , la Corte ha affermato che la procedura prevista dalla legge relativa al procedimento tributario francese e riguardante le ispezioni non rispondesse alle esigenze di equità stabilite dall’articolo 6 § 1 della Convenzione. Questo perché non era stato possibile un accesso al tribunale per ottenere una decisione sulle contestazioni avanzate, essendo le ordinanze dispositive delle visite domiciliari in materia tributaria impugnabili solo in cassazione, dove è possibile un controllo di diritto, ma non di merito.
Avv. Antonella Mascia