Concorso esterno in associazione mafiosa, nel caso Contrada c. Italia (n. 3) la Corte europea dei diritti dell’uomo accerta la violazione dei principi di non retroattività e di prevedibilità della legge penale

Strasburgo, 15 aprile 2015 – Con sentenza del 14 aprile 2015 sul caso Contrada c. Italia (n. 3) (ric. n. 66655/13), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato la violazione dell’articolo 7 della Convenzione che sancisce il principio di legalità in materia penale (nulla poena sine lege).

La Corte di Strasburgo ha ritenuto che la condanna del ricorrente per concorso esterno in associazione di stampo mafioso per fatti da lui compiuti negli anni dal 1979 al 1988 fosse contraria al principio di legalità in materia penale e di prevedibilità dell’azione panale in quanto tale figura criminosa è stata elaborata dalla giurisprudenza italiana solo a partire dal 1987 e consolidata dal 1994.

Bruno Contrada – cittadino italiano, nato nel 1931 – era stato condannato con sentenza del Tribunale di Palermo del 5 aprile 1996 alla pena di dieci anni di reclusione per concorso in associazione di stampo mafioso con riferimento a fatti accaduti tra il 1979 e il 1988.

Il Tribunale ritenne che, nella sua posizione di funzionario di polizia e, in seguito, di capo dal gabinetto dell’Alto commissario per la lotta alla mafia e, infine, di direttore aggiunto dei servizi segreti civili (SISDE), avesse sistematicamente contribuito all’attività e alla realizzazione degli scopi criminali dell’associazione mafiosa “Cosa nostra” fornendo delle informazioni sullo stato delle investigazioni e delle operazioni di polizia di cui erano destinatari alcuni membri dell’organizzazione.

Il ricorrente propose appello eccependo che all’epoca dei fatti contestatigli il concorso esterno in associazione di stampo mafioso come categoria di reato non era prevedibile in quanto risultato di un’elaborazione giurisprudenziale successiva. Con sentenza del 4 maggio 2001, la Corte d’Appello di Palermo annullò la condanna del ricorrente perché il fatto non costituiva reato.

Su rinvio della Corte di Cassazione, una diversa sezione della Corte d’Appello di Palermo confermò, con sentenza del 25 febbraio 2006, il giudizio di condanna del ricorrente ritenendo che il Tribunale di prima istanza avesse applicato correttamente i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia. La Corte d’Appello fece valere che l’esistenza della previsione normativa che punisce il concorso esterno in associazione di stampo mafioso era stata elaborata dalla Corte di Cassazione in due sentenze, del 1994 e 1995, poi confermata nel 2002 e nel 2005. Inoltre, come già nella sentenza del 4 maggio 2001, la Corte d’Appello aveva rilevato la differenza tra la nozione di concorrente esterno in associazione di stampo mafioso – con la quale si indica una persona che opera sistematicamente con gli associati – e quella di mero connivente – con la quale si indica colui che aiuta, in casi determinati, un associato.

Il ricorso del ricorrente fu, infine, rigettato dalla Corte di Cassazione l’8 gennaio 2008.

Il ricorrente ha quindi eccepito davanti alla Corte di Strasburgo lamentando che la nozione di concorso esterno in associazione di stampo mafioso era stato il risultato di un’elaborazione giurisprudenziale posteriore ai fatti per i quali era stato condannato.

Nel caso di specie la C.E.D.U. ha richiamato la propria giurisprudenza riguardante il principio “nulla poena sine lege” (set. Del Rio Prada c. Spagna, ric. n. 42750/09), valutando quindi le disposizioni rilevanti e l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza interna tra il 1979 e il 1988 al fine di verificare se il ricorrente avesse potuto prevedere le conseguenze della propria condotta.

La C.E.D.U. ha quindi rilevato che, come riconosciuto dal Tribunale di Palermo nella sentenza del 5 aprile 1996, l’esistenza della previsione del reato di associazione esterna in associazione di stampo mafioso è stata oggetto di statuizioni giurisprudenziali divergenti da parte della Corte di Cassazione. La Suprema Corte ha infatti menzionato tale ipotesi di reato per la prima volta 1987, ha quindi negato tale ipotesi in alcune sentenze del 1989 e 1994. Ha poi riconosciuto l’esistenza della fattispecie di concorso eventuale in associazione di stampo mafioso in alcune sentenze del 1987, 1992 e 1993. Solo con la sentenza Demitry del 5 ottobre 1994 la Corte di Cassazione ha fatto, per la prima volta, il punto su questa questione e, definendo il conflitto giurisprudenziale, ha ammesso l’esistenza della fattispecie di reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso.

La Corte di Strasburgo ha rilevato inoltre che la Corte d’Appello di Palermo, nella sentenza del 25 febbraio 2006, si è basata su sentenze successive ai fatti contestati al ricorrente. Infine, le contestazioni del ricorrente proposte davanti a tutte le giurisdizioni nazionali riguardanti il principio di irretroattività e di prevedibilità della legge penale non sono state esaminate in maniera approfondita dalle giurisdizioni italiane, che si sono limitate ad analizzare in dettaglio la sussistenza del reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso nell’ordinamento giuridico interno, senza tuttavia soffermarsi sulla diversa questione in merito alla possibilità, per il ricorrente, di conoscere la fattispecie di reato all’epoca dei fatti contestatigli.

I Giudici di Strasburgo hanno ritenuto che, poiché la fattispecie criminosa è stata il risultato di un’evoluzione giurisprudenziale sviluppatasi a partire dalla fine degli ottanta e consolidatasi nel 1994 (con la sentenza Demitry), essa non era sufficientemente chiara e prevedibile dal ricorrente all’epoca dei fatti contestatagli risalenti agli anni tra il 1979 e il 1988.

Per questo motivo la C.E.D.U. ha dichiarato la violazione dell’articolo 7 della Convenzione, condannando lo Stato italiano a un risarcimento di 10.000 euro per danni morali, oltre a 2.500 euro per le spese legali.